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Bad Boy Bubby

Regia di Rolf de Heer vedi scheda film

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La recensione su Bad Boy Bubby

di Stefano L
8 stelle

 

"Bad Boy Bubby" non sarà un film perfetto, ma non c’è dubbio che nella sua categoria sia unico. Il personaggio principale, l’anti-eroe fanciullesco rinchiuso trentacinque anni in un tugurio, e scappato da quella topaia infernale (in cui era imprigionato fisicamente e mentalmente dalla "mammona"), avviandosi a un catartico “percorso di redenzione”, è una sagoma grottesca trascinante e irresistibile (brillantemente incarnata dall’attore Nicholas Hope), la quale non si era mai vista nel settore sperimentale della settima arte. Il tono della vicenda diventerà più affabile man mano che gli eventi progrediscono, riecheggiando traumi bambineschi (cagione del feticismo sfoggiato), la manifestazione dell’innocenza infantile nei confronti dei dogmi e del bigottismo religioso, le riflessioni sull’esistenza di Dio e la validità del credo cristiano ripercosso sulle morali antropologiche (pezzi conditi da alcune frasi blasfeme, che in ogni caso hanno un'avvertibile influenza emblematicamente rilevante nel reticolo del plot). Ci si muove lentamente dal buio immenso alla luce in un intreccio multisfaccettato ove Bub, il “cattivo ragazzo”, da un rapporto innaturale passa ad una serie di peregrinazioni casuali ed esasperate, tra cui la partecipazione in veste di un componente di una rock band indie, la detenzione, e l’incontro con un operatore sanitario verso cui proverà un sentimento di ardente passione. Questi ultimi frangenti in particolare sono struggenti e carichi di un pathos considerevole, grazie soprattutto al talento nella prestazione mimica e la recitazione basata sulla sola espressività facciale (ed in parte vocale) sciorinata da Hope. Al termine di questo tortuoso tragitto il protagonista scoprirà una condizione amorfa di libertà spirituale, grazie ad un "messia" che risponde (non accidentalmente) al nome di Angel... Parimenti ineccepibile il versante tecnico: la coltre dalle innumerevoli, allettanti sfumature dipinte dai trentadue (gasp!) direttori della fotografia chiamati in causa è avvolgente, ineludibilmente evocativa, penetrante nella profondità di campo. Interessante in ugual modo l’approccio acustico collaudato dal mixaggio binaurale (reso fattibile per mezzo di due microfoni che simulano la tridimensionalità dell’udito umano), il quale consente agli astanti di metabolizzare in maniera inusuale il suono delle ambientazioni circostanti. Espediente la cui fruizione purtroppo è permessa unicamente da un impianto da sala, e non dall’home video. Peccato anche delle performance over the top di Carmel Johnson, le quali intaccano di leggera inverosimiglianza diversi passaggi tragicomici. “Bad Boy Bubby”, comunque, rimane una black-comedy coraggiosa ed esclusiva che raffigura una satira abbacinante della società moderna, ed è innegabilmente una gemma del cinema indipendente australiano.

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