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Bad Boy Bubby

Regia di Rolf de Heer vedi scheda film

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Utente rimosso (SillyWalter)

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La recensione su Bad Boy Bubby

di Utente rimosso (SillyWalter)
7 stelle

   

 

     Da una premessa molto dura ha origine un percorso felicemente terreno, vitale e umanamente generoso. È un'opera un po' punk e molto "indie," anarchicamente positiva (e questo è un dato originale), non priva di "cadute di stile" ma con un protagonista che cresce e si fa ricordare.

 

     L'inizio si prende tutti i rischi e tutti i sospetti di gratuito e arido sensazionalismo. Bubby è un uomo sui trentacinque con un ritardo mentale. Vive entro le quattro scialbe mura di una cantina-appartamento, accudito, lavato, insultato e usato sessualmente da una madre grassa, spenta e volgare. Bubby non è mai stato all'esterno, non ha mai conosciuto altri che sua madre e il suo gatto. La madre l'ha convinto che l'aria fuori è irrespirabile (quando esce indossa una maschera antigas) e che "se non ti uccide l'aria ti ucciderà Dio." Le cose cominciano a cambiare quando qualcuno bussa alla porta. È il redivivo padre di Bubby (sgradevole quanto la madre) ed è senza maschera... 

     Bubby riuscirà ad evadere e le sue stranezze dovranno misurarsi con quelle della società più o meno civile. Sarà sballottato, respinto e ancora usato ma troverà affetto in alcuni scalcinati musicisti e in altri emarginati come lui.

 

 

     A molta critica ha giustamente ricordato CANDIDE e L'ENIGMA DI KASPAR HAUSER. Bubby è senza dubbio un buon selvaggio che espone l'insensatezza del mondo, la sua evoluzione non ha però i toni poeticamente interrogativi di KASPAR HAUSER. Tende invece all'apologo contro il sistema-religione e il sistema-famiglia, rischiando in alcuni punti lo schematismo. Ci sono però segnali iniziali di una diversa intenzione. Lo stile con cui è ritratta la "vita in famiglia" non sembra compiacersi degli eccessi. Si cerca la trasparenza oggettiva sia con l'immagine che con il sonoro (assente il commento musicale). E pur nella difficoltà di inserirli (e notarli) tra gli episodi più crudi, ci sono momenti che danno conto del germogliare di un pensiero autonomo nel protagonista che guiderà la sua liberazione e la sua evoluzione all'esterno.

     Laddove il claustrofobico inizio sembra lineare e brutalmente distaccato, con l'apertura successiva interviene il caos della società con tutto ciò che comporta in termini di presenza su una scala più ampia dei sistemi che han tenuto legato Bubby (anche le associazioni religiose del mondo esterno non fanno una gran figura); ma è un caos che può anche essere gioiosamente senza Dio e senza padroni, un ballo di topi da cui emergono possibili nicchie di felice libertà, un largo tramonto di fiamme infette sulla skyline delle ciminiere che paradossalmente ci incanta e non ci uccide. Nè Dio nè l'aria sono fatali.

 

     Quel che risulta piacevole e stupisce è la crescita, l'umanità rotonda che raggiunge Bubby, la possibilità per lui di trovare famiglie di strambi ("weirdos") ed emarginati senza doversi adattare e conformare. La vita fuori (dalle regole) è paurosa e insensata ma ha in sè anche il calore e la vitalità della musica dove la diversità è una risorsa, ed ha l'empatia di piccole comunità solidali. Il film cambia completamente carattere e dopo la freddezza iniziale riesce a trasmettere uno scombinato calore umano che strappa il sorriso senza ricorrere ad eccessi zuccherini.

     In questo caos creativo c'è anche posto per un finale amorale eppure lieve e doveroso, giustificato dalla vitalità dei personaggi e dall'esattezza del tono con cui si completa il percorso di Bubby.

     Peccato che il motivo anticlericale a volte debordi riducendo un paio di personaggi a marionette tagliate grezze e producendo una sequenza "educational" in cui Bubby (e noi con lui) si sorbisce una predica sulle religioni nella storia. Una parentesi fiacca poco consona all'identità non dogmatica del film.

 

 

    Da vedere assolutamente in originale. Mi duole (e molto) dirlo ma il doppiaggio di Bubby di Tonino Accolla è inadatto. Troppo comico. Non rende la recitazione stralunata e stentatamente imitativa del bravo Nicholas Hope (che nelle interviste rivela di come abbia dovuto asciugare tutti gli eccessi per interpretare Bubby. Soprattutto il Bubby non ancora indipendente).

 

     Girato ad Adelaide con attori del luogo (per motivi di budget) e troupe totalmente australiana, in patria è diventato un istantaneo cult di successo (Miglior regia, sceneggiatura e attore prot. agli AFI, gli Oscar australiani). Decisiva per la realizzazione del film è stata però la Fandango di Procacci, che per prima si è interessata al soggetto e l'ha finanziato per metà. 

     Soggetto e sceneggiatura sono un parto del regista Rolf De Heer, che ci ha lavorato per 10 anni mentre si occupava di altri progetti, pensando inizialmente di girarlo nei weekend con un amico attore (poi non più interessato). Questa lunga gestazione ha dato a De Heer l'opportunità di studiare alcune strane idee sperimentali per quasi ogni reparto tecnico. Innanzitutto il film è stato girato in sequenza (il che di per sè non è così inaudito). Poi. Le pareti della "casa" di Bubby si allargano letteralmente e impercettibilmente col passare del tempo, soprattutto dopo l'arrivo del padre. Poi. Sono stati impiegati ben 32 (!!!) direttori della fotografia diversi, uno per ogni location (e nessuno poteva vedere il lavoro degli alri). È un'idea nata nel periodo in cui De Heer pensava di fare il film nei weekend, cosa che avrebbe reso impossibile avere a disposizione sempre la stessa troupe. E credo che almeno in parte questo viavai si rifletta nell'energia e nella vitalità (e nelle atmosfere più ariose) della seconda parte del film. Infine. Per l'audio sono stati inventati e impiegati dei "microfoni biauricolari (o bineurali)". Posti sotto la parrucca di Bubby, uno sopra ogni orecchio, in pratica rendono l'audio una soggettiva del protagonista, per cui sarebbe consigliabile avere un buon impianto surround etc.etc. o al limite mettersi in cuffia durante la visione.

     

     Bad Boy Bubby ha vinto il Leone d'argento alla Mostra del cinema di Venezia 1993. 

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