Regia di Martin Ritt vedi scheda film
E' un film sul tema dello sfuttamento e delle rivolte operaie, qui nell'Ottocento in America, ma la visione d'insieme si può applicare a qualsiasi periodo. Ritt dirige con mano ferma e senza fronzoli, e crea un film molto scorrevole che si segue volentieri nonostante la sua lunga durata. Il ritmo è piuttosto pacato, ma il fatto che il film funzioni bene comunque testimonia ancor più la sua solidità
Un punto fermo nella visione del problema che compare nel film è la situazione di sfruttamento insostenibile a cui sono sottoposti i minatori, ai quali vengono detratti dalla paga persino gli attrezzi di lavoro e la polvere da sparo per far saltare la roccia in miniera. Detto questo, mi pare che l'interesse del regista si concentri sulla liceità e sull'opportunità della lotta violenta delle organizzazioni operaie, a base di sabotaggi e omicidi mirati. Il gruppuscolo di sabotatori che compare del film opera proprio in questo modo: tra l'altro fanno saltare il treno che porta il carbone e uccidono un capocantiere particolarmente oppressivo. Sul problema se i Molly Maguires abbiano ragione o torto mi pare che la questione si faccia più sfumata. Le argomentazioni che porta il prete per condannare la lotta violenta non sono disprezzabili. Se la sceneggiatura avesse voluto farle apparire inaccettabili avrebbe avuto tutto il modo di farlo. I morti, sia poliziotti che operai, che restano sul terreno e le inesistenti conquiste sul piano salariale pongono seri dubbi in merito. Le stesse azioni di sabotaggio, come il treno fatto saltare, pongono la domanda di che senso abbiano, e a momenti sembrano la classica zappa data sui piedi (dei minatori). Inoltre l'incendio del negozio con dentro tutta la mercanzia - quando si poteva distribuirla a chi ne aveva bisogno - è un evidente eccesso ad opera di scalmanati in preda ai fumi dell'alcol.
La conclusione mi sembra essere questa: la lotta per i diritti degli operai è sacrosanta, chi ha optato per la lotta violenta ha le sue buone ragioni, ma di per sé la via della violenza non è la soluzione. Così è parso a me, per quanto il concetto sia molto diluito e da distillare dal film.
Bravi sono tutti gli attori, a cominciare da Sean Connery. Interssante e complesso ho trovato il personaggio di Richard Harris, il traditore. La sceneggiatura rappresenta con finezza il suo percorso umano. Animato da smodata ambizione, diventa traditore e giunge giustamente al disprezzo di se stesso. Un attimo prima del tradimento definitivo ha dei tentennamenti, ma il desiderio dei denaro e carriera è più forte. L'unica frase sincera che dice nel film è quella alla sua padrona di casa, che è fatta di tutt'altra pasta: invidio sinceramente la tua moralità. E non si può dargli torto.
Questo film per equilibrio, profondità, e assenza di schematismi, ha molto da insegnare a certo cinema di sinistra che in quegli anni si girava in Italia ed Europa.
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