Il monologo finale di Norman Bates in Psycho è un momento chiave in cui il suo disturbo dissociativo dell'identità si manifesta completamente, ed è parte straordinaria del film.
La voce della madre parla, confessando di aver ucciso Marion (e altre) e di aver portato il corpo via, ma aggiunge che Norman non può fare nulla, è "cattivo" e che lei lo avrebbe dovuto rinchiudere. Afferma di non potersi muovere, di essere una statua, ma che farà vedere a tutti chi è veramente, impedendo a Norman di prendere il controllo. Si parla di uccelli impagliati (i suoi "complici" nel senso che lo fissano), del non scacciare una mosca, e del fatto che la madre lo sorveglia, rendendo Norman prigioniero dentro se stesso, come se lei fosse sempre lì.
Quando Norman alza gli occhi e sorride verso la telecamera (noi spettatori), sembra quasi soddisfatto del suo ruolo nel mantenere viva la madre. L'immagine del teschio della madre si sovrappone al suo volto, mostrando che la personalità della madre ha preso il sopravvento definitivamente, fondendosi con lui.
Il finale non è una risoluzione razionale, ma la vittoria della follia e della psiche frammentata di Norman, che diventa lui stesso il mostro, con noi che assistiamo impotenti a questo trionfo psicologico.
Il monologo finale di Norman Bates non è semplicemente il culmine della trama, ma una discesa definitiva nel baratro della sua psiche frammentata. Attraverso la magistrale interpretazione di Anthony Perkins, Hitchcock ci consegna non solo un villain, ma un'icona del male radicato nella follia materna, trasformando Psycho in un archetipo che ancora oggi risuona, costringendoci a confrontarci con le zone d'ombra della nostra stessa mente.
https://youtu.be/QLUd9lAGbZ8?si=U5LihukVv8LAtJFX
Psyco (1960): Alfred Hitchcock


Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta