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L'anno di noi due
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Ok, la scuola non fa per te. Ti chiedo solo di guardare 3 film a settimana insieme a me per un anno. Poi si vedrà.

Così affronta la crisi scolastica del figlio adolescente lo scrittore David Gilmour (no, non quel David Gilmour) nel romanzo autobiografico L'anno di noi due.

Con piglio sfrontato e sicuro di sé, ma eroso da ricorrenti sensi di colpa interiori aggravati da una situazione economica familiare per nulla florida e rassicurante, papà David tiene ferma la barra su una decisione alquanto discutibile e disegna una rotta esistenziale in cui i punti cospicui sono composti di celluloide. Mettendo il suo passato di critico cinematografico al servizio del progetto e contando sul valore educativo (o diseducativo) dei film che sceglie, sottopone il figlio allo sbando ad un vero e proprio tour de force cinematografico anticipando o producendo cambiamenti significativi nella loro vita e reagendo con mirabile prontezza di spirito agli ovvi imprevisti di un sistema in cui anarchia e improvvisazione sono stati eletti a metodo.

Sulla base di questo escamotage narrativo autobiografico il libro tiene agganciato il lettore con sapienza. Anche se lo stile non è propriamente brillante, anche se ci sono passaggi a vuoto e piccole incongruenze (come il ruolo della madre, da cui è divorziato, che viene inopinatamente tenuto in secondo piano). Eppure è un libro che fa pensare. All'educazione tradizionale trasmessa per pura forma, alla scuola insegnata senza passione. Fa pensare alle responsabilità di essere padri e madri, a come certe scelte non vengano neanche messe in discussione in un mondo che invece viene scosso quotidianamente nelle sue fondamenta. Fa pensare al valore della memoria e della storia per affrontare la realtà. Anche se filtrate - storia e memoria - attraverso la finzione cinematografica (e sul tema vi consiglio di leggere questo bellissimo post di Rototom).

Fa pensare alle disillusioni messe a nudo dalla vita. E a quelle raccontate dal grande cinema. E non è certo un caso che il primo film che David propone al figlio Jesse sia proprio I quattrocento colpi: inestricabile groviglio di vita vera e finzione che racchiude i grandi temi della crescita, della ribellione verso il sistema famiglia/scuola, della ricerca della libertà ed infine della sua insostenibile ampiezza, rappresentata da quel mare illimitato, troppo grande per essere contemplato a lungo. Ciò che Antoine Doinel suggerisce agli spettatori con quel suo ultimo sguardo in camera, Groucho Marx lo dice con il suo inimitabile umorismo sarcastico non privo di una certa amarezza: Preferisco guardare un film che vivere. Almeno nel film c'è una trama. Frase che infatti campeggia sulla quarta di copertina de "L'anno di noi due".

Un libro, insomma, che consiglio a tutti voi. A quelli, tra voi, che di cinema nutrono la propria esistenza. A quelli che hanno adolescenti che gli ronzano intorno e ai quali è capitato di pensare che i film possano essere utili per accompagnare la loro crescita e diluire le loro prime disillusioni. A quelli che hanno un pezzo di Antoine Doinel dentro, o vicino. E a chi preferisce la sicurezza di una trama di un film all'incertezza di una vita, come Groucho. E siccome si tratta di un libro che nelle librerie non si trova, essendo fuori catalogo da un pezzo, ecco qui il link di un negozio online che lo vende.




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