“Ripugnante come pochi, in qualche rara occasione dimostrava lampi di intelligenza stagnante. Ma il suo cervello era così marcio per l'alcol e per quella vita dissoluta che quando cercava di avviarlo sembrava un vecchio motore ingolfato rimasto inzuppato troppo a lungo nel lardo” scrive Hunter S. Thompson nel romanzo “Le cronache del rum” e stranamente non si riferisce a se stesso, bensì all'amico giornalista Moberg. Così in quest’opera troviamo una bellissima Porto Rico, tanto alcool e belle donne e solo qualche accenno al giornalismo “Gonzo” (un tipo di scrittura che mescola lo stile del giornalismo tradizionale con pensieri, idee ed impressioni personali) perché The rum diary (titolo originale) è stilisticamente molto diverso da Paura e delirio a Las Vegas.
Chi veramente è un fan di Thompson e ha letto le sue opere sa dunque cos’aspettarsi più o meno dal film in uscita al cinema il prossimo 24 aprile: “The rum diary - Cronache di una passione”.
Solo chi invece non ha mai letto niente di Thompson e quindi non conosce veramente il suo stile potrà criticare il film affermando “è stata una delusione, mi aspettavo qualcosa tipo Paura e delirio a Las Vegas e invece niente” perché i veri estimatori di Thompson sanno bene che Paura e disgusto a Las Vegas, come opera letteraria per prima, non è assolutamente simile a The rum diary. Sono due libri diversi, che nonostante si occupino di giornalismo, si basano anche su uno stile differente. Il primo è un libro ambientato durante il periodo hippy americano che raccoglie pensieri, monologhi e cronache delle esperienze di un giornalista (il Dr. Gonzo) durante un suo viaggio a Las Vegas. Ed è un'opera assai grottesca, inverosimile, sconclusionata e dalla narrazione più complicata e logorroica, destinata a piacere ad un certo tipo di pubblico che ama i film trasgressivi, allucinati e pazzoidi anche se non hanno molta trama. Il secondo invece è un romanzo nel vero senso della parola che racconta l'esperienza dello stesso giornalista (ma molti anni prima del periodo della guerra del Vietnam) ambientato verso gli anni '60 in una Porto Rico da sogno nella quale cerca senza successo di affermarsi. E' dunque un libro più profondo, sempre ironico, ma più sensato e meno trasgressivo, con uno stile narrativo molto più semplice che delinea una trama vera e propria, più "tranquilla" e meno allucinata. Dunque anche il film aveva il dovere di seguire questo stile col fine di farsi comprendere ed apprezzare da un pubblico più vasto.
Allora mi chiedo, perché ci sono persone che pretendono che come film debbano avere lo stesso stile se neppure i romanzi ai quali sono ispirati ce l'hanno? Semplice, perchè loro non sanno un bel nulla di Hunter S. Thompson! ...Un suo vero estimatore dovrebbe conoscere il suo stile in tutte le sue forme e dovrebbe aver letto i suoi libri, altrimenti non è un suo fan, ma più semplicemente uno che ha conosciuto ed apprezzato solo per puro caso il film “Paura e delirio a Las Vegas” e che quindi non dovrebbe avere molta voce in capitolo per confrontare due opere cinematografiche che non sa nemmeno a cosa siano ispirate.
The rum diary è un’opera semi-biografica in cui Thompson descrive il suo sogno di diventare giornalista, ma in cui rivela anche la sua passione per l’alcol, per la sperimentazione delle droghe e per le belle donne. Ha un modo di scrivere spesso pungente che può ricordare per certi versi quello del nostro Beppe Grillo, ma i suoi personaggi, nonostante siano spesso dissoluti, incuriosiscono e divertono. “Le cronache del rum” come opera letteraria è un po’ diversa dal film diretto da Bruce Robinson ed interpretato e prodotto da Johnny Depp (che per interpretare e sembrare Thompson all’età di trent’anni, è stato “ringiovanito” al massimo all’apparenza dato che Depp infatti è invece abbastanza vicino alla soglia dei cinquant’anni ormai).
Forse il regista è riuscito a migliorare l’introspezione psicologica dei protagonisti, ha cambiato in meglio la storia per certi versi, donandole anche un bellissimo happy-ending (purtroppo giostrato malissimo attraverso delle freddi scritte brevemente conclusive che compaiono sullo schermo, ma forse non c’era modo di dedicargli il giusto spazio poiché il film stava già durando anche troppo, due ore…) e poi ha saputo donare al protagonista principale Paul Kemp, una certa ingenuità e dolcezza di fondo che invece il Paul del romanzo non sembra possedere. Il Paul di Thompson infatti è un tipo molto più cinico, arguto, insofferente ed egoista (maltratta i vecchietti, tradisce gli amici se gli si presenta l’occasione e usa rudemente le donne come comuni oggetti sessuali).
Il tema dell’alcol e delle conseguenze che ha sulle persone viene ben approfondito sia nel libro che nel film, come anche quello del sogno americano, della condizione politico-economica di Porto Rico e la particolarità consiste nel fatto che nonostante tutti questi argomenti siano drammatici vengono invece trattati con astuzia attraverso una narrazione ironica che diverte e rende dunque il film più simile ad una commedia che ad un dramma, ma quello che forse non funziona è l’inconsistenza con la quale viene trattata (sia nel romanzo che nel film s’intende sempre) l’ambizione di Paul che sa scrivere bene, ma che incontra davvero troppe difficoltà nel realizzarsi come giornalista. Lì a Porto Rico infatti, alcuni incidenti di percorso, guai con la giustizia, bravate, atteggiamenti viziosi e troppa falsità ed opportunismo nel mondo del giornalismo gli impediscono di dimostrare il proprio talento, perciò il tentativo di farlo apparire come il perfetto giornalista-guerriero risulta assai sterile ed inefficace.
Comunque, nonostante tutto è un’opera godibile e rilassante, con buoni dialoghi e protagonisti simpatici. Si rende memorabile poi il primo incontro tra Paul e Chenault, che a differenza di quello banale ed inconsistente mostrato nel romanzo (s’incontrano all’aeroporto senza neanche dialogare veramente ed infatti il lettore, neanche col proseguimento della lettura, ha mai la sensazione che fra i due sia scoppiata la scintilla) avviene per un caso del destino in una situazione più idealistica e simpatica con un ambiguo accenno all’esistenza delle sirene…
**** Una chicca interessante della quale non tutti sono a conoscenza, è che Hunter S. Thompson fu interpretato per la prima volta da Bill Murray in un film del 1980 dal titolo “Where the Buffalo roam”, opera interessante che gli estimatori di Thompson dovrebbero cercare di reperire e guardare se ancora non l’hanno fatto.
E per gli estimatori della storia di Paul e Chenault e della splendida Porto Rico che ne fa da contorno, segnalo un delizioso video amatoriale molto caliente che ho trovato per caso in rete:


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