Regia di Robert Rossen vedi scheda film
Stanze di appartamenti, in cui inventarsi un amore etilico o quelle fatiscenti di una pensione da quattro soldi, dove rifugiarsi e pensare a un altro modo per tirare avanti, per poi immergersi nella vita, quella rinchiusa in una sala da biliardo, quella avvolta dalla luce penetrante della città. In questo tentativo di sopravvivenza tutta americana, tra possibilità e sconfitte, si svela un mondo dominato dal denaro, attraverso il quale si insegue il miraggio di una (auto)realizzazione totalmente illusoria. Si scommette su ogni cosa, pool, cavalli, carte; il bisogno della prossima puntata invade l’anima dei personaggi, portandoli in un vortice di dipendenza dal gioco che rischia di diventare fine a sé stesso e proprio all’interno di questo caotico desiderio di emancipazione, di innalzarsi dalla mediocrità, Eddie lancerà una sfida ai propri demoni, dimostrando una innata forza interiore che però non sa bene dove indirizzare e come gestire, finendo per trasformarla in arroganza e spacconeria. Eppure ci sono lampi di purezza e vitalità devastanti negli sguardi di Paul Newman, il suo e gli altri volti vengono magistralmente rifiniti da un’illuminazione frontale o laterale, che ne acuisce aperture o segreti, attimi di splendente gioia o strisciante disperazione. La fotografia in bianco e nero di Eugene Schüfftan ci rimanda un’atmosfera urbana di indicibile bellezza, trasmettendo le vibranti emozioni di esistenze sempre in bilico, sul punto di cadere e sprofondare e poi capaci di mantenere un apparente equilibrio che le porti alla sequenza successiva. Intere giornate permeate da un alone alcolico che ne infiamma sentimenti e discorsi, in quello che appare come un teatro di fragili eventi, in cui ognuno cerca la sua parte, il suo ruolo, solo per poi inseguire i fantasmi delle proprie ossessioni. Imbrogli che avranno il sapore di narrazioni sincopate, come il jazz che avvolge gli ambienti, il bar in cui chiedere da bere serviti da Jake la Motta, le palle in buca, quelle mancate, gli ennesimi bagliori di qualcosa che ci renda unici, senza capire l’inganno dei nostri sforzi, per ricominciare ogni volta da capo, prima che il tempo si dimentichi distratto di tutti noi.
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