Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film
Film gigantesco, sia per le sue dimensioni da kolossal che per l'elevatezza del genio artistico di Kurosawa. Il regista giapponese si ispira ancora una volta a Shakespeare e al suo Re Lear e ne cava un'opera monumentale sulla follia del potere e il "caos" dell'esistenza umana (questo è il significato del titolo originale). Affascinante la dimensione figurativa con i colori usati in funzione simbolica dai diversi personaggi e dai loro seguaci, perfetta la padronanza dello spazio filmico, grandissima la maestria nella direzione delle scene di massa e in particolare in quelle di battaglia (fra cui il famoso e bellissimo brano dell'assedio al castello commentato unicamente dalle musiche di Toru Takemitsu, una sinfonia visiva spettrale e a suo modo inquietante). Pur con alcuni cambiamenti (come ad esempio la spartizione del regno fra tre figli maschi e non più femmine), la vicenda di Kurosawa segue abbastanza da vicino la progressione narrativa dell'opera di Shakespeare, ma introduce ugualmente molti elementi e situazioni tipici della cultura giapponese. Anche nello stile si ritrova l'alternanza fra un modo di filmare più "all'occidentale" nelle sequenze d'azione e di battaglia e uno stile più orientale, debitore del teatro Noh, nelle sequenze d'interni. I personaggi hanno una statura tragica ma restano umanissimi nel groviglio di passioni negative messe in mostra come ambizione, odio, vanità, bisogno di vendicarsi ecc... Nel cast, come hanno osservato tutti i critici, accanto all'Hidetora di Tatsuya Nakadai, maschera allucinata dello sbigottimento di fronte alla follia generata dalla brama smodata del comando, spicca la straordinaria Lady Kaede di Mieko Harada, direttamente ispirata ad un'altra eroina negativa del drammaturgo inglese, ossia la Lady Macbeth del dramma omonimo (da cui Kurosawa aveva già tratto il film Il trono di sangue). Resta un'opera d'autore che, ispirandosi a una fonte decisamente "alta", riesce a operare una sintesi prodigiosa fra le varie componenti del linguaggio cinematografico, tutte portate a un livello di perfezione formale difficilmente raggiungibile in altri contesti. Dunque, un vertice non solo dell'opera di Kurosawa, ma della storia del cinema. Vinse un premio Oscar per i costumi di Emi Wada, ma fu scandalosamente escluso dalla corsa al miglior film straniero, a quanto pare una sorta di rivalsa sul film da parte dell'establishment cinematografico giapponese, ed ebbe soltanto modesti risultati al box office alla sua uscita.
Voto 10/10
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