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Il quarto uomo

Regia di Paul Verhoeven vedi scheda film

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La recensione su Il quarto uomo

di Qualcunocheadorailcinema
8 stelle

Gerard Reve, scrittore di fama e alcolista, si reca in una città olandese per una conferenza, dove conosce Christine, e trascorrono insieme il fine settimana. Gerard conosce Herman, amante della donna e se ne innamora. Tuttavia, la donna è vedova di tre mariti.

 

 

Verhoeven, in questo film del tutto libero da compromessi, costruisce un'opera che è al tempo stesso un incubo psicosessuale e un’allegoria religiosa dal forte impatto visivo. Le allucinazioni del protagonista non sono mai soltanto decorazioni stilistiche, ma diventano strumenti per scardinare la razionalità, confondendo continuamente il confine tra ciò che è reale e ciò che è simbolico o proiettato dall’inconscio. La narrazione si muove come in uno stato di sogno febbrile, dove ogni oggetto può nascondere un presagio di morte, e ogni gesto quotidiano è carico di ambiguità.Il desiderio omoerotico è centrale e trattato con una libertà rarissima per l’epoca, con momenti di seduzione e tensione sessuale che si intrecciano a un costante senso di pericolo. Christine, la donna fatale interpretata da Renée Soutendijk, è al tempo stesso oggetto del desiderio e figura minacciosa, incarnazione vivente di un potere femminile ambiguo e forse distruttivo. La sua presenza sullo schermo è magnetica, ma volutamente opaca: non sapremo mai se è davvero un’assassina o solo il riflesso delle ossessioni maschili.

La regia è precisa e provocatoria: ogni inquadratura è studiata per creare disagio o suggestione, con una cura maniacale per i dettagli simbolici e una fotografia che alterna toni freddi a bagliori surreali, quasi onirici. Il montaggio contribuisce a mantenere costante la tensione, anche nei momenti in cui la trama sembra rallentare.

In definitiva, è un’opera morbosa e ipnotica, che mette a disagio senza mai rinunciare a sedurre lo spettatore. Non è un film per tutti, ma per chi apprezza il thriller psicologico contaminato da elementi espressionisti e religiosi, rappresenta un’esperienza cinematografica unica e ancora oggi potentissima.

Un Verhoeven in stato di grazia, prima della svolta hollywoodiana, capace di fondere eros, morte e fede in un unico, inquietante delirio visivo.

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