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Il manoscritto trovato a Saragozza

Regia di Wojciech J. Has vedi scheda film

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La recensione su Il manoscritto trovato a Saragozza

di Baliverna
6 stelle

Avventure picaresche in un'allucinata Spagna Settecentesca.

È molto diverso rispetto agli altri due film che ho visto del regista. Io la definirei una pellicola satirico-surreale, un po' beffarda, per nulla drammatica, e un po' cinica.

L'immagine della Spagna del XVIII secolo è quella di un paese dove regna il disordine e l'ingiustizia; ovunque c'è sporcizia, rovina, degrado; un paese poco religioso, dove non si fa che parlare di demoni, spiriti che scacciano le persone da certi luoghi, che le picchiano, poi di satana, e di malefici... Sembra che la religione della Spagna sia una branca della demonologia. L'inquisizione è impersonata da alcuni monaci che sembrano dei pagliacci da avanspettacolo, e che arrestano la gente a casaccio. Per il resto dappertutto si vedono forche con gli impiccati lasciati a marcire, teschi e scheletri a volontà, briganti, predoni e servi-schiavi.

Quasi superfluo sottolineare che questa rappresentazione forzata si rifaceva ai canoni del regime comunista sotto cui si trovava la Polonia all'epoca, che richiedeva di raffigurare il passato come un periodo disumano e degradato, tanto più se si parlava della Spagna. All'epoca, infatti, doveva ancora bruciare la sconfitta delle forze repubblicane ad opera del generale Franco.

Precisato questo, il film mi sembra guardabile, a tratti interessante, ma non molto di più. Mi sono piaciute le sequenze oniriche (anche se inferiori a quelle di Fellini e Bunuel, ad esempio). Strano, solo, che esse non inizino con un personaggio che dorme, ma vengano inserite nell'azione (già di suo piuttosto rocambolesca e imprevedibile) senza che lo spettatore se ne avveda. Certo, poi ci si accorge che si entra nell'inverosimile, ma ciò avviene solo dopo. Più che sogni, sono allucinazioni di qualcuno che giace stordito da qualche parte, posizione nella quale si trova poi senza una spiegazione...

Gli attori recitano in modo un po' buffonesco, il che dà all'insieme quasi l'atmosfera di una farsa.

La parte centrale del film è visibilmente più debole, e per un po' si ha la sensazione che non si sappia da che parte andare.

Il regista si era costruito la fama con film drammatici e di contenute dimensioni produttive; qui è evidente che è entrato in un'altra fase, credo più ambiziosa, e che gode di mezzi maggiori. Il pessimismo di prima è diventato uno sguardo disincantato verso un mondo disordinato e senza senso, forse incarnato dalla Spagna Settecentesca in modo solo pretestuoso. Lo stesso romanzo di partenza (dell'Ottocento), fu scritto da un uomo – il conte Potocki – che terminò la sua vita con il suicidio. Insomma, da uno scrittore suicida e da un pessimista come Has non poteva uscire un film rinfrancante.

Una nota sul restauro o sulla... cosmesi del film. All'inizio compare una scarna didascalia che informa sull'avvenuta “ricostruzione digitale” dell'opera. Di solito, quando un film viene restaurato, si informa lo spettatore su come è avvenuto il restauro, a partire da quali materiali, ecc. Non in questo caso, però: io non ho mai visto questa definizione, e mi chiedo che cosa voglia dire esattamente. Intendiamoci, le immagini sono di qualità molto buona, però mi si insinua il dubbio che siano state abbastanza ritoccate digitalmente, sì da far optare per questa definizione. In certe scene, l'immagine è così levigata e regolare, che quasi sembra un'opera moderna girata in digitale sin dalla macchina da presa. In poche parole, forse si è esagerato un tantino.

 

 

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