Regia di Kaouther Ben Hania vedi scheda film
Un miracolo di tecnica cinematografica. Al servizio del bene dell’umanità.
Raramente un film – necessariamente – antimilitarista raggiunge così bene il proprio scopo.
La causa palestinese è ben rispettata: ma questo film mantiene un afflato universalistico.
È pressoché tutto storia: eccellente è l’utilizzo di file audio veri, per costruirvi attorno una scena del tutto verosimile – peraltro basata a propria volta sulla testimonianza storica dei convolti.
La denuncia doverosa del genocidio palestinese da due anni ad oggi – se si eccettua l’Africa, la peggior violazione del diritto umanitario dalla Seconda guerra mondiale ai giorni nostri – si giova di un eccellente lavoro tecnico: basato sul sonoro, sui primi piani - inevitabilmente angosciati e angoscianti, sul montaggio. Ma soprattutto sulla sceneggiatura, che gioca tutto sul prerazionale. Infatti illumina bene l’angoscia esistenziale pervasiva che subisce chi è costretto a subire un genocidio (e chi scrive sa bene che gli arabi, nella fattispecie da un secolo, non hanno certo, in generale, solo ragioni dalla propria parte). Chi è coinvolto in ciò, si sente subissare dalle notizie più sconfortanti – e dai fatti più terribili – ad ogni piè sospinto. Solo il linguaggio delle emozioni – non adulterato, come qui infatti non è – può rendere l’idea. Di una bambina costretta a stare nascosta per ore in mezzo ai cadaveri dei familiari, sperando di essere solo “venuta a prendere” da chiunque.
Lo strazio - storico, realistico - qui messo in scena, è quello appunto vissuto in migliaia di casi simili in questi due anni.
La nudità della restituzione cinematografica verista, densa di speranza e di suspense, è la miglior testimonianza dell’orrore di ciò che Israele sta facendo – con la colpevole collaborazione di tanta parte dei governi occidentali, tra cui il nostro spicca. Orrore che, nei fatti, non è indegno dell’Olocausto. A buona memoria della prossima – di tutte le prossime – Giornate della memoria: che ormai, così, in Occidente è assai problematico celebrare, nella forma in cui siamo stati tenuti a fare da oltre vent'anni sino ad oggi.
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