Regia di Mona Fastvold vedi scheda film
VENEZIA 82 - CONCORSO
"Un posto per ogni cosa, ogni cosa al suo posto".
È davvero interessante scoprire la storia di vita, ovvero un reale, titanico calvario, vissuto dalla predicatrice britannica del '700 Ann Lee.
La tribolata storia di vita della mistica britannica, divenuta promotrice di una radicale professione di fede prima in madrepatria, poi negli Stati Uniti d'America a partire dal 1774, viene raccontata con piglio stilistico ad effetto, stile viscerale e un sostenuto commento musicale degno di un vero e proprio film musical, dalla regista e sceneggiatrice Mona Fastvold.
Ann Lee si fa promotrice, nella sua vita tormentata di tragedie e sventure, gran parte delle quali si concretizzano con la morte prematura di ognuno dei suoi quattro figli bambini, desiderati ardentemente dal suo focoso marito, di una forma di cristianesimo ad impronta millenarista, cosiddetta escatologica, ovvero concentrata sulla morte, sul giudizio divino, e sull'importanza di presentarsi puri al cospetto del divino.
La dottrina predicata con ardore dalla Lee si concentra su regole di stampo quasi francescano, incentrate sulla rinuncia, la fatica fisica, l'astinenza, e concentrate attorno alla sua ambiziosa e risoluta figura di donna che presiede gruppo di fedeli devoti.
Un gruppo di individui risoluti a credere nella pratica di una fervente astinenza sessuale, e che attraverso di lei, autoproclamatasi nientemeno che "sposa dell'Agnello", si sarebbe compiuta la Rivelazione.
La Fastvold racconta tutto ciò seguendo un percorso narrativo impegnativo, certo originale, indubbiamente coraggioso, che prevede scelte estreme come uno sforzo realistico ben poco accomodante su un pubblico poco avvezzo, momenti musicali con balletti coreograficamente seducenti e musica tipo celtica sulle prime coinvolgrnte, ma alla lunga impegnativa.
Onore al merito e alle scelte non piegate da eccessive esigenze commerciali, ma il film poi rischia di rinnegare certo rigore soprattutto qusndo si ritrova a scegliere, come sua protagonista assoluta, l'angelo canterina ben noto che si presenta con le fattezze angeliche della splendida Amanda Seyfried.
Un'attrice americana davvero bella e brava, la cui vocina da usignolo (ammesso ma non del tutto concesso che, in entrambe le circostanze, sia lei a cantare e non frutto di un semplice e prudente doppiaggio) è nota sin dai tempi del primo scatenato Mamma Mia, musical effervescente sulla scia degli Abba.
Qui tuttavia un visino da angelo immacolato, con labbra prosperose impensabili anche solo un trentennio orsono, una dentatura perfetta color avorio dai riflessi accecati, ben poco consona a quei tempi agri, funestati da malattie, costituiranno particolari certo esteriori, ma che mal si accavallano con la scelta di un rigore di rappresentazione storica che la regista si premura di mantenere.
Detto ciò, si apprezza, come già accennato, una cocciuta ricerca di originalità che si intravede già ad inizio vicenda con coreografie audaci, non proprio accattivanti qualora prolungate in svariate occasioni ed un canto che sostituisce la tradizionale narrazione, nel richiamo di una tradizione storica in grado di rendere più coerente la difficoltà di vita in epoche ove ogni malattia od infortunio poteva condurre ad una fine prematura.
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