Regia di Ben Leonberg vedi scheda film
Dogs Discover Ghosts.
Ben Leonberg (New Jersey, 1987) debutta nel lungometraggio – scrivendolo (con Alex Cannon), producendolo (con la consorte Kari Fischer), fotografandolo (2.00:1), dirigendolo (in tre anni... umani, non canini, per poter raggiungere, estrapolandolo dal protagonista animale, il giusto livello di... "realismo") e montandolo – con questo bellissimo (contro l’evidenza di ogni inevitabile difetto oggettivamente riscontrabile) “Good Boy” – un lavoro a mezza via tra “A Ghost Story” (David Lowery, 2017), il cinema di Benson & Moorhead, e, senz’altro in maniera meno "radicale" e più accessibile, “Skinamarink” (Kyle Edward Ball, 2022) – dopo aver scritto, prodotto e diretto una dozzina di opere brevi…
– una delle quali, uscita oramai quasi un decennio fa, è l’omonima trasposizione di un celeberrimo, nonché miliare e pure mitopoietico, racconto di Terry Bisson del 1990, “Bears Discover Fire”, più volte antologizzato anche in Italia: della short story letteraria ne parlai come corollario in seno alla recensione su “Piper” (Alan Barillaro, 2016), mentre il cortometraggio lo presentai come “bonus” nel corpo della recensione che dedicai alla 2ª parte di “Mondi Senza Fine”, il 2° volume dei 3 in cui fu suddivisa “The Year's Best Science Fiction : Thirty-Fourth Annual Collection”, la come al solito mastodontica raccolta dei soggettivamente (curatela di Gardner Dozois, 2017) più bei racconti di fantascienza in lingua inglese usciti nei 12 mesi precedenti –
…e riesce (la considero una voluta, pensata, cercata qualità positiva: le eventuali e auspicabili opere seconda e terza, se e quando verranno, diranno se ho puntato sul purosangue, o sul levriero, o sul plantigrado giusto), attraverso i 70 minuti lungo i quali si dipana la storia, a smontare ogni aspettativa, come dire… supereroistica in versione canina, perché Indy - interprete e personaggio -, lo splendido Toller (Nova Scotia Duck Tolling Retriever), appartenente proprio allo stesso Ben Leonberg, protagonista tanto assoluto quanto inconsapevole (il regista rende possibile allo spettatore d’innescare, senz’abusarne, l’Effetto Kuleshov) del film, no, un supereroe non è: è un cane. Un bravo cane. Percepisce l’impercepibile agli umani sensi, ma non può inventarsi (però sogna iperrealistici sogni) alcunché per salvare il suo padrone né dal cancro né dall’oltre infestante la dimora avita.


Nume tutelare: Larry Fessenden (sceneggiatore e regista di “Habit”, “Wendigo”, “The Last Winter”, “Beneath”, “Depraved” e “Blackout”, titoli nei quali in un paio di occasioni recita in parti più o meno importanti, oltre che attore co-protagonista di “River of Grass”, il debutto di Kelly Reichardt, con la quale continuerà saltuariamente a collaborare come produttore esecutivo per, rimanendo in tema canino, “Wendy and Lucy”, nel quale recita anche in una piccola parte, e “Certain Women”, e poi in altre varie piccole caratterizzazioni davanti alla macchina da presa come ad esempio, per Jim Jarmusch, in “Broken Flowers” e “The Dead Don’t Die”), qui nel ruolo più “inquadrato in volto” (veicolandolo tramite VHS e tubi catodici) del film (accanto al resto del cast composto da Shane Jensen, Arielle Friedman e Stuart Rudin).
Musiche: Sam Boase-Miller.
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