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Hamburgo

Regia di Lino Escalera vedi scheda film

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La recensione su Hamburgo

di Ponky_
3 stelle

TORINO FILM FESTIVAL 43 (2025)

Più che un’avvilente coincidenza, la presenza di Netflix tra i co-produttori di “Hamburgo” sembra piuttosto la sepolcrale conferma dell’impressione di assistere a un prodotto pensato innanzitutto per le piattaforme streaming, con quel classico sentore di ciarpame cinematografico usa e getta ad aleggiare nell’aria buia della sala.

Incapace di dare vita a una convincente atmosfera noir e di gestire la tensione di un thriller che possa perlomeno intrattenere, la pellicola appare come un dozzinale coacervo di dinamiche abusate, scevro d’ogni velleità di proporre un racconto innovativo sul fronte tecnico o narrativo. Quella che dovrebbe rappresentare la tematica principale – la tratta e lo sfruttamento delle donne del sud-est europeo in Spagna – viene affrontata senza alcuno scandaglio, riducendosi a mera cornice di un intreccio prevedibile negli esiti fin dalle prime battute. Tuttavia, ciò non determina unicamente un vizio narrativo, in quanto, adottando il distaccato sguardo maschile di Jaime Lorente come primario punto di vista, viene irrimediabilmente minato anche ogni eventuale intento di sottotestuale denuncia.

Restia ad aprire spiragli oltre la propria schematica linearità, la sceneggiatura non si sforza nemmeno di mettere in discussione i ruoli di vittime e carnefici, demarcando costantemente il perimetro di una grossolana e superficiale dicotomia senza via d’uscita.

In tale contesto, gli ambienti sono poco più di anonimi fondali, con lo scenario della Costa del Sol - che dovrebbe fungere da epicentro di un discorso sociale invero appena abbozzato - a mostrarsi irriconoscibile anche nella propria estetica ecosistemica.

La Spagna è oggi senza dubbio tra le nazioni maggiormente foriere di talenti dietro la macchina da presa per quanto concerne il thriller, con autori capaci di raccontare vite tormentate e multiformi specie di criminalità attraversanti l’intera scala sociale, senza nessuna necessità di ricorrere a cliché consolidati.

L’inevitabile parallelo che dunque si innesca con i vari Oriol Paulo, Rodrigo Sorogoyen, Alberto Rodríguez o, in maniera più laterale, con i veterani Plaza e Balagueró, vede il film di Lino Escalera soccombere al primo round anche di fronte alle più dimenticabili produzioni dei sopracitati; totalmente a disagio nel genere e privo del minimo estro visivo, il regista si crogiola in un 16mm del tutto velleitario, adatto giusto alle sterili speculazioni da conferenza stampa.

Nella fredda asetticità che lo contraddistingue, “Hamburgo” vive di sovrana omologazione, destinato ad essere fagocitato senza troppo rammarico da un catalogo digitale sempre ben nutrito di nullità come la presente.

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