Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film
Dalla remota Cina, Mei, lottatrice di kung-fu, giunge a Roma, quartiere multietnico Esquilino. E' alla ricerca della sorella, Yun, le tracce della quale si perdono nei locali attigui al ristorante "La Città Proibita", copertura per attività più o meno illecite del losco boss Wang. Apprende che la donna, prostituta, aveva una relazione con Alfredo, maturo titolare di un altro ristorante nei pressi, successiva tappa della giovane. Qui, Marcello e Lorena, rispettivamente figlio e moglie di Alfredo, lavorano duramente per mandare avanti l'azienda di famiglia in assenza del titolare che immaginano in fuga con l'amante. La realtà è ben diversa e nella vicenda è implicato anche Annibale, strozzino di quartiere sulla via del tramonto; toccherà a Mei e Marcello scoprire la verità circa la sorte della coppia ed agire di conseguenza. Terzo lungometraggio del regista romano Gabriele Mainetti, "La Città Proibita" è un film d'azione dalle tinte fosche, sia per temi sia per ambientazione, un sottobosco di media criminalità sviluppatosi nella moderna Roma multietnica. Conosciamo Mei e Yun nel grigiore di una Cina degli anni '90, il popolo della quale era oppresso, tra l'altro, dalla "politica del figlio unico"; quello stesso grigiore permea gli ampli locali, anche sotterranei, della "Chinatown" romana. Qui, oggi come allora, i diritti sono negati, vige la legge del più forte. E qui si conclude la vita di Yun e prende il via il percorso di vendetta di Mei, la quale, muovendosi come un fantasma tra le assolate vie di Roma ed il torbido "underground" cittadino, condivide con Marcello l'impresa. La giovane donna è interpretata dall'attrice cinese Yaxi Liu. Nel corso della narrazione apprendiamo i motivi della sua determinazione, espressa da scaltrezza, padronanza delle arti marziali, capacità di sopportare il dolore; dietro la scorza ruvida di Mei, si celano fragilità e bisogno di un affetto a lungo negato. Dà una risposta a questa necessità il co-protagonista Marcello (Enrico Borello), un giovane dall'indole insicura, improvvisamente privo di un punto di riferimento in ambito familiare, il genitore Alfredo (Luca Zingaretti), il quale, pur non essendo stato un padre esemplare, ha sempre fatto il possibile. Mentre la mamma Lorena (Sabrina Ferilli), logorata da rimpianti, valuta l'ipotesi di rifarsi una vita, Marcello, divenuto complice, protettore e compagno di Mei, dipana una matassa terribilmente ingarbugliata; scoperta la morte del padre, accerta le relative responsabilità. Nella vicenda è gravemente implicato Annibale, interpretato da Marco Giallini. Questo anziano personaggio è l'usuraio del quartiere. Benchè ancora formalmente rispettato, la sua posizione in una società in mutamento non è più di rilievo. Non gli rimangono che gli ultimi, quali vittime del suo malaffare. Vive di affitti in nero concessi ad immigrati irregolari, taglieggiamenti; ha in antipatia gli stranieri, i quali pian piano hanno "colonizzato" il quartiere Esquilino di Roma, in particolare i cinesi; li ritiene responsabili di aver distrutto quel piccolo "microcosmo", nel quale il suo ruolo, benchè negativo, aveva un certo riconoscimento; difficile non rintracciare, in ciò, un richiamo alle tematiche del film "L'Amico Di Famiglia", di Paolo Sorrentino. Annibale è molto legato alla famiglia di Alfredo; è innamorato di Lorena, vuol bene a Marcello, è affezionato al ristorante, unico luogo nel quale egli si sente di casa. Lo stesso Alfredo è un suo amico; l'usuraio spera invano che nulla cambi; si aggrappa con ogni sua forza al passato, al quale non può sopravvivere. Innesca una spirale di violenza che travolge tutti, buoni, "meno buoni" e cattivi, infine sè stesso. Il regista si dimostra ottimo conoscitore della società romana. Egli racconta il quartiere Esquilino fuor di luogo comune, benchè lo rappresenti, irrealisticamente, come un suk. Wang, criminale "d'importazione", ricco grazie alla spietatezza con la quale gestisce i suoi molti traffici, non resiste alle tentazioni "borghesi" offerte dalla città; prova un forte affetto per il figlio adolescente, musicista in erba, il quale non lo ricambia. Il giovane cantante cinese odia il padre ed inneggia all'onestà. L'autore lo mostra condividere momenti di sincera gioia insieme ad altri adolescenti, italiani, stranieri, di ogni etnìa o colore della pelle. Una visione ottimista di una società multietnica, riflessa altresì nella serenità delle strade del quartiere. Il ritmo del racconto è sostenuto; decisamente interessante la messa in scena. Coreografici combattimenti a mani nude o arma bianca; inseguimenti, fughe, sequenze "stealth" tengono accesa l'attenzione tanto quanto il mistero circa gli eventi; tutto, pian piano, trova una spiegazione. La coerenza non è intaccata da qualche buco di sceneggiatura; Mei, almeno inizialmente, appare e scompare fin troppo rapidamente ed in tutto il racconto non appare in scena neppure un rappresentante delle forze dell'ordine. I toni sono drammatici, nonostante l'espressività tipicamente popolare dei personaggi romani. Purtroppo, i risultati di "botteghino", in questa occasione, non hanno premiato il regista; è un peccato. Gabriele Mainetti ha dato un'ulteriore prova delle proprie capacità e del proprio coraggio, dirigendo un film che non ha simili, per qualità e caratteristiche, tra le coeve opere prodotte in Italia. Ambizioso, singolare, coerente, ben interpretato e portato in scena, "La Città Proibita" merita a mio parere un giudizio molto positivo.
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