Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film
Vissuta all'ombra della sorella maggiore a causa della legge che in Cina istituì dal 1979 la politica del figlio unico, ormai adulta Mei (Yaxi Liu) si mette alla ricerca della congiunta, misteriosamente scomparsa dal quartiere romano dell'Esquilino, dove ha una relazione con il padre (Zingaretti) di un cuoco dal cuore d'oro (Borello). Con quest'ultimo, la ragazza - esperta di arti marziali cresciuta più in un dojo che in un salotto - finisce nel vortice della malavita romana, dove anche la mafia cinese fa il bello e il cattivo tempo. In un contesto dove si incrociano trattorie in crisi, ristoranti ambigui e cravattari dal ghigno stanco (Giallini su tutti), La città proibita racconta un mondo in cui l'amatriciana convive con i noodles e gli schiaffi volano trasversalmente, con un realismo che non rinuncia al gesto spettacolare.
Nonostante il mezzo passo falso di Freaks Out, Gabriele Mainetti conferma di avere un passo da regista di respiro internazionale, capace di costruire storie (anche se qui siamo pericolosamente vicini al plot di Kill Bill) e di metterle in scena con sguardo visionario, contaminando Bruce Lee con Sergio Leone senza farsene schiacciare. La chiave è il tono: sopra le righe ma mai grottesco, romanesco ma senza folklorismi. Se la fotografia di Paolo Carnera e le coreografie di Liang Yang regalano sequenze da blockbuster globale, è il cuore a fare la differenza: quello di una città che cambia, e quello dei due protagonisti - lei una guerriera, lui un timido disilluso - che, tra un pestaggio e l'altro, trovano anche il tempo per restare umani.
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