Regia di Gabriele Mainetti vedi scheda film
Al solito sopravvalutato film del "rinascente cinema di genere italiano" che inevitabilmente non rinasce invece mai da nessuna parte- anche il supposto successo commerciale di classifica è stato molto breve e relativo, tanto è che era introvabile fino al suo rilascio ufficiale su piattaforme e BD/dvd-, realizzato bene da Mainetti - ma da uno con i suoi mezzi economici dalla nascita, era il minimo da apprendere e mettere in pratica-, però la solita fotografia irrealistica è supercaramellosa di luci dominanti calde e tutte sparate in ambienti bui e poco illiminati, che sia a Roma come in Cina o a Cincinnati, fa sì che non ci si discosti minimamente dall'estetica riconoscibile Netflix, La sceneggiatura alla fine prevedibile, superficiale buonista, è però il vero lato debole. Ci fanno vedere una Roma smostrata dall'immigrazione di ogni tipo e colore, tra suk arabi e indo-pachistani sotto i colonnati, nessun negozio italiano ma solo file di market "mini" etnici, l'Esquilino reso una Chinatown di lanterne rosse e pagode a vari piani con ristoranti cinesi di lusso e bordelli agli ultimi piani, tra i suoi palazzi umbertini, gallerie silos sotterranee che nemmeno nelle basi americane, sotto per i loro traffici di ogni tipo. Il boss sino vi si sposta con una macchinetta da campi da golf, ma poi il vero cattivo e traditore, che fa talmente compassione e disgusto da rivolgere la pistola contro sè stesso(Marco Giallini), è colui che contro tutto questo si spende a male parole e azioni per quanto malevole e sbagliate, di perdita dell'identità dei quartieri e delle loro vecchie attività commerciali storiche, e delle loro famiglie. Si capisce poi il discorso da che parte quindi vira[...]
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