Regia di Scott Derrickson vedi scheda film
Visivamente curato e con sequenze efficaci, ma meno incisivo e coinvolgente rispetto al primo film.

Black Phone 2 (2025), sequel di Black Phone (2022), arriva con l’eredità del primo film sulle spalle, ma finisce per smarrire parte della sua identità. Il capitolo originale aveva costruito un horror intimo, psicologico e sospeso, dove la tensione cresceva silenziosa e le emozioni restavano sotto pelle. Il seguito cambia registro: diventa più ghost story che thriller, più jumpscare che spavento psicologico. Derrickson mantiene alcune qualità visive e la scenografia resta curata, ma ritmo e impatto emotivo risultano diluiti. Il richiamo a Nightmare – Dal profondo della notte (1984) è chiaro: il “Rapace/Grabber” invade i sogni della sorella di Finney, trasformando il riposo in un incubo vivo, con sequenze sfocate, sgranate e nebbiose pensate per destabilizzare lo spettatore.
Siamo nell’ottobre del 1982, quattro anni dopo che Finney (Mason Thames) ha affrontato il “Rapace”. La sorella Gwen (Madeleine McGraw) comincia a fare sogni inquietanti, in cui rivive omicidi avvenuti molti anni prima all’Alpine Lake Camp. Decisa a scoprire la verità, convince Finney ed Ernesto, fratello di una delle vittime passate, a recarsi al campo estivo, ora semi-abbandonato e isolato da una violenta bufera di neve. Al loro arrivo incontrano solo poche persone: il supervisore Armando (Demián Bichir), sua nipote Mustang (Arianna Rivas) e due dipendenti del campo. Mentre cercano di capire il significato dei sogni di Gwen, il Rapace torna a tormentare i protagonisti, minacciando chi le sta vicino. La tensione cresce quando emerge che il passato dei ragazzi, dei loro familiari e dello stesso campo è intrecciato in modi inattesi, e che solo scoprendo i segreti nascosti del Rapace sarà possibile fermarlo. Le sequenze oniriche costituiscono il cuore dell’orrore, mentre il gruppo lotta tra realtà e sogno.

Scott Derrickson conferma il suo stile visivo distintivo, ma sposta l’attenzione dal terrore psicologico a un horror più soprannaturale e diretto. Le sequenze oniriche di Gwen funzionano, con inquadrature sfocate e quasi nebbiose che rendono l’incubo tangibile e destabilizzante. L’uso delle ambientazioni è curato: il campo Alpine Lake, il lago ghiacciato e i boschi avvolti dalla neve creano un isolamento percepito, anche se meno intimo e claustrofobico rispetto al primo film. Derrickson privilegia lo spavento immediato, con jumpscare calibrati ma frequenti, lasciando meno spazio alla suspense lenta e psicologica che aveva reso il primo film così intenso. Alcune scene restano impresse per la forza visiva, e nelle sequenze oniriche il Rapace diventa presenza concreta anche senza apparire fisicamente.
La sceneggiatura mantiene Scott Derrickson alla co-scrittura, affiancato da C. Robert Cargill, consolidando la loro collaborazione già avviata nel primo film. Il racconto sposta il focus dall’intimità psicologica a un horror più soprannaturale e diretto, con sogni, visioni e contatto con il Rapace oltre la vita. La struttura alterna momenti di realtà a sequenze oniriche, con ritmo che privilegia l’impatto immediato dei jumpscare. Elementi di continuità con il primo film – il legame familiare, il peso dei traumi e il confronto con la morte delle vittime – restano centrali, dando profondità emotiva ai personaggi, anche se il bilanciamento tra sentimento e paura è meno centrato. Alcuni momenti finali, orientati a un risvolto più melodrammatico, risultano meno efficaci nel coinvolgere lo spettatore.

Mason Thames torna nei panni di Finney, ormai adolescente segnato dagli eventi del primo film, ma con una nuova responsabilità: proteggere la sorella. La sua interpretazione bilancia paura, determinazione e tensione emotiva, soprattutto nelle scene in cui deve confrontarsi con le visioni oniriche del Rapace; Thames riesce a trasmettere quanto il trauma passato influenzi ogni sua decisione, rendendo credibile la sua maturazione forzata. Madeleine McGraw è Gwen, al centro della storia. La giovane attrice riesce a trasmettere vulnerabilità e coraggio nello stesso tempo: ogni sogno, ogni incubo vissuto sullo schermo diventa una prova della sua crescita emotiva, e il pubblico percepisce la sua determinazione a capire e affrontare il male che la minaccia.
Demián Bichir interpreta Armando, supervisore del campo, con autorevolezza e un senso di stabilità in un contesto altrimenti instabile. La sua presenza fornisce un ancoraggio narrativo, guidando i protagonisti attraverso il mistero e diventando una figura chiave nella dinamica del gruppo. Miguel Mora è Ernesto, fratello di una vittima precedente, che porta realismo e pragmatismo, creando un contrappunto a Finney e Gwen e sottolineando la tensione tra azione concreta e terrore soprannaturale. Arianna Rivas è Mustang, la nipote di Armando, che aggiunge leggerezza e curiosità, bilanciando la tensione senza farla cadere in momenti di comicità forzata.
Ethan Hawke torna nel ruolo del Rapace, incarnando un male sempre più inquietante e onnipresente. Nel sequel sfrutta appieno le dimensioni oniriche per estendere il proprio potere, rendendo la minaccia concreta senza bisogno di dialoghi eccessivi. La maschera, i gesti, la voce e i movimenti creano un’icona di terrore immediatamente riconoscibile, trasformando le sequenze oniriche in momenti di tensione palpabile e disturbante.

Black Phone 2 prova a proseguire la storia del primo film, ma perde gran parte dell’intimità e della tensione psicologica che lo caratterizzavano. Visivamente curato, con sequenze oniriche memorabili e un buon lavoro attoriale, resta un passo indietro rispetto all’originale, privilegiando spaventi immediati e horror soprannaturale a scapito della suspense sottile e della profondità emotiva. Un sequel guardabile, disturbante in alcuni momenti, ma meno incisivo e meno equilibrato rispetto al primo capitolo.
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