Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Due agenti segreti britannici, marito (Fassbender, inamidato) e moglie (Blanchett, algida e altèra), costretti a fare i conti con la riservatezza del segreto professionale e la confidenza di chi condivide lo stesso letto. Lui riceve l'ordine di localizzare e neutralizzare una figura pericolosa che si scopre essere… sua moglie. Inizia così - tutto imperniato su un MacGuffin che non verrà mai rivelato - un inseguimento alla "verità" che passa per tavolate tra colleghi degne de L'angelo sterminatore di buñueliana memoria (una scena da manuale), che ha pochissimo di azione e moltissimo di psicologia, sesso, bugie e videotape, identità multiple, dove amore e missione si intrecciano fino a diventare indistinguibili. L'azione si sviluppa per ellissi, suggerita più che mostrata, e la tensione si gioca tutta sul filo del sospetto reciproco, delle conversazioni a bassa voce, dei gesti trattenuti, salvo accoltellamenti improvvisi o inattesi colpi di pistola.
Se vi aspettate una spy story convenzionale rischiate di perdervi già al primo checkpoint: Black Bag è un'opera glaciale e raffinatissima, dove l'intrigo sentimentale si intreccia a un vocabolario tecnico degno di un manuale per analisti della CIA (glitch, poli, black bag e tanti altri). Gli acronimi scorrono come champagne, ma l'effetto sul pubblico è decisamente meno effervescente. Sicché Il film finisce col chiedere molto allo spettatore: attenzione, pazienza (a dispetto della breve durata, appena 90 minuti: una rarità di questi tempi), dimestichezza con la logica dei servizi segreti… e una certa tolleranza per il tono cerebrale e rarefatto che lo attraversa dall'inizio alla fine. Soderbergh continua ad attraversare i generi con assoluta disinvoltura, costruendo stavolta un labirinto formale che affascina e respinge, un noir levigato come un'arma da collezione. L'universo visivo, dominato da ombre nette e geometrie precise, sembra quasi voler richiamare l'immaginario di Diabolik (a cominciare dalla simmetria con la coppia protagonista), ma privo di qualsiasi gusto per l'eccesso: qui tutto è sotto controllo, ogni movimento calibrato, ogni battuta cesellata fino all'astrazione. Il conflitto tra dovere e sentimento si gioca su piani così alti da sembrare scritti in codice. Anche l'amore, qui, ha bisogno di decrittazione. Il risultato è un film intellettuale, sofisticato, forse fin troppo. Un esercizio di stile che incuriosisce, ammalia, ma lascia anche un certo gelo addosso. Più che un thriller, un test di ammissione ai servizi segreti, o almeno a un cineclub molto selettivo.
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