Regia di Fausto Brizzi vedi scheda film
Una coppia, passata la quarantina e conscia del limitato tempo a disposizione, tenta in ogni modo di avere un figlio: invano. Gli esami stabiliscono che la donna non può più averne e perciò i due, su consiglio di un amico, si recano in Spagna per… affittare un utero. Ovvero: lui dona il suo seme a Luce, che viene ingravidata e segue la coppia a Roma per portare a termine insieme a loro la gravidanza. Naturalmente nessuno deve sapere chi è realmente Luce, che viene spacciata per una ragazza alla pari.
Una commediola davvero debole da qualsiasi punto di vista la si voglia guardare, questa Dove osano le cicogne, che si regge però – fortunatamente – sulle spalle di un Angelo Pintus eccezionalmente in forma; non che la sua sola presenza possa salvare il film, sia ben inteso, ma rimane comunque piacevole la sua interpretazione, affiancata peraltro da quelle di alcuni validissimi caratteristi come Antonio Catania, Andrea Perroni e Tullio Solenghi, nonché da Marta Zoboli e Beatrice Arnera, senza infamia e senza lode entrambe. La pellicola è l’ennesimo rimaneggiamento di luoghi comuni e situazioni banalotte sulle coppie alla spasmodica ricerca di un figlio: tutto un castello (fragilissimo) costruito attorno a una trama in realtà basata su equivoci e doppigiochi, come nelle tradizionali commedie di una volta. Insomma, non ci si smascella dal ridere e gli argomenti non sono particolarmente originali, ma Dove osano le cicogne (il richiamo alle aquile del film del 1959 diretto da Brian G. Hutton è totalmente pretestuoso, va da sè) gode comunque di una costruzione narrativa sufficientemente solida e di qualche interpretazione gustosa: butta via, di questi tempi, specie per un regista che in passato ha girato dozzinalmente di tutto come Fausto Brizzi. Sua la sceneggiatura, e di Herbert Simone Paragnani, Gianluca Belardi e Angelo Pintus. 2,5/10.
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