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Honey Don't!

Regia di Ethan Coen vedi scheda film

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George Smiley

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La recensione su Honey Don't!

di George Smiley
8 stelle

Con "Non farlo dolcezza! (Ma lo fa comunque...)" Ethan Coen e la sceneggiatrice (nonchè moglie del regista) Tricia Cooke tornano nuovamente, dopo "Drive-Away Dolls", nell'America profonda e merdaiola dei MAGA col cappellino da baseball, un'America che preferiremmo ignorare ma che alberga sempre più nel cuore di una civiltà occidentale in crisi d'identità e i cui popolini sono sempre più rapiti dal fascino discreto della camicia nera. Popolini rapiti dalla "brillante" retorica di esempi di virtù e profondità intellettuale come Charlie Kirk, Andrew Tate, il papero Donaldo e Elon "Tyrell" Musk; non meraviglia dunque assistere al disfacimento di ogni barlume di razionalità e tolleranza appena usciti dalla porta di casa. Veniamo quindi condotti a Bakersfield, fra le assolate e desertiche praterie della contea di Kern in California, in questa America brutta, sporca e cattiva dominata da rancore e violenza latente, in cui le donne sono equiparate a sacchi da boxe, qualsiasi villano è armato fino ai denti e i predicatori religiosi annacquano le labili coscienze del volgo. Qui troviamo la nostra protagonista, l'investigatrice privata Honey O'Donahue (interpretata dalla star in ascesa Margaret Qualley), donna forte e indipendente, tanto cinica e solitaria quanto piena di umanità e spirito combattivo. Imbattutasi nella morte apparentemente casuale di una potenziale cliente, non convinta dai frettolosi rilievi della polizia locale, decide di scavare nella vita della defunta, portando alla luce i loschi affari di una congregazione religiosa invischiata in un traffico di droga e guidata dal carismatico e pericoloso reverendo Drew Devlin (portato in scena da Chris Evans)...

Il film è una contaminazone del noir classico, virato però al femminile e caricato da ingenti dosi di "queerness", con la commedia nera e il grottesco, il tutto filtrato in un'estetica da B-Movie anni '70 (pur essendo ambientato ai giorni nostri). Tutto ciò può facilmente alienare lo spettatore occasionale, frastornato dall'apparente atemporalità dell'impianto narrativo e dalla mancanza di uno sviluppo logico della trama, la quale procede per divagazioni, ellissi e concatenazioni di eventi quasi casuali. I personaggi stessi spesso mancano di appopriate informazioni riguardo ai problemi che affrontano; questo porta i loro archi narrativi a sfiorarsi a vicenda senza quasi mai intrecciarsi in una storia comune, accentuando l'impressione di un racconto quasi episodico in cui il caos è il vero motore primo di tale piccolo universo. Ma è proprio questa frammentarietà l'elemento che più mi ha intrigato e che non posso non riconoscere come una scelta voluta dagli autori: in questo viaggio fra le brutture di una società marcia, in cui il passato lascia ferite incapaci di rimarginarsi e le vittime vengono colpevolizzate e brutalizzate da altre vittime, l'unica costante è proprio Honey, figura stoica e fieramente anarchica, donna che resiste e continua a vivere e ad anelare alla libertà. Fra nuclei familiari disfunzionali, uomini che suonano le donne, figure paterne fallimentari e incapaci di prendersi la responsabilità dei propri errori, personaggi inconsapevolmente patetici e predicatori che sono soprattutto manipolatori e predatori sessuali, Honey ci ricorda che l'unica scelta possibile è camminare in direzione ostinata e contraria, senza lasciare a nessuno la possibilità di controllare le nostre vite.

Nel cast spiccano la protagonista Margaret Qualley, perfetta nella sua aura di cinismo e sagace ironia, il predicatore Chris Evans, divertente e sopra le righe nel suo ritratto di un uomo assolutamente disgustoso, e l'esplosiva Aubrey Plaza, la migliore nel tinteggiare un personaggio problematico e con entrambi i piedi dentro all'abisso. Completano il quadro una buona regia coadiuvata da intelligenti soluzioni di montaggio, dialoghi carichi di black humor, un uso delle luci notevole da parte di Ari Wegner e una colonna sonora ben tarata. Promosso con bollino di qualità queer.

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