Regia di François Ozon vedi scheda film
Sotto le foglie (2024): locandina
Nella Francia di Ozon, come in quella di Guiraudie de L’uomo nel bosco, tutto inizia e finisce tra le foglie del bosco, o meglio, sotto le foglie. Che sia un cadavere o funghi, magari velenosi, poco cambia. La natura riassorbe i suoi elementi e li trasforma, altri corpi vivranno, altre storie saranno date alla percezione dei sensi.
Sotto le foglie (2024): Hélène Vincent, Josiane Balasko
Quello che Arnheim chiamava “ il ritmo estetico del film” funziona così in Ozon, quel montaggio impercettibile da cui dipende l’intera esperienza del cinema ricompone frammenti di realtà in una configurazione che, nel riprenderla e proiettarla sullo schermo immerge chi guarda in una realtà irreale funzionale al pensiero, e capita di dimenticare la propria.
Cosa vuol dire ciò?
Vuol dire che una piccola storia che ha tutta l’aria di un thriller casereccio può diventare metafora del vivere umano, del suo trascorrere spesso insensato da una scena all’altra, del vivere e morire senza una ragione apparente, senza un Dio che spieghi.
Da semplice selezione di elementi reali Ozon costruisce una riconfigurazione formale della struttura già esistente, crea una grammatica di base e dà vita ad un proprio linguaggio arbitrario quanto basta per ingannare lo spettatore.
Dopotutto, cosa diceva Aristotele sulla tragedia? Lo spettatore più saggio è quello che si fa ingannare.
Dunque possiamo arrivare al finale dopo aver attraversato paludi di fango e vedere l’orizzonte tingersi rosa, e credere che sia possibile.
In un paesino d’altri tempi della profonda campagna francese, abitanti pochi, spuntano la sera nel bar tabacchi aperto dall’attor giovane, per il resto solitudine e stormire di foglie, passeggiate di due o tre personaggi nel bosco in cerca di funghi, quando capita quello velenoso arriva la svolta narrativa.
La natura detta le sue leggi ma il corso degli eventi lo decide l’uomo con tutto il suo essere, corpo, sensi, parola.
L’avvelenamento casuale e subito curato serve a mettere a nudo piaghe incancrenite che solo la morte vera può sanare,
Tre generazioni, vecchia, giovane, infantile, entrano in simbiosi e interagiscono. Ne viene fuori il dolce/amaro rumore della vita.
Sotto le foglie è un thriller perché il morto c’è, c’è anche la poliziotta che non si arrende e prosegue le indagini fino a dover cedere perché i protagonisti fanno squadra e sono perfettamente coerenti fra loro, e poi nessuno rimpiange quel morto, anzi, è quasi bene che si sia tolto di mezzo.
Ma di un thriller è proibito spoilerare dunque alt.
Nonostante questo risvolto drammatico, e benchè sullo sfondo ci siano anni trascorsi in carcere da uno di loro, un passato da prostitute delle due donne da tempo in disarmo, un divorzio in atto e la sorte del piccolo nipote Lucas che non si sa bene dove vivrà e con chi, nonostante tutto la vita va avanti e si può sempre continuare a dire come Rossella “Domani è un altro giorno”.
Sotto le foglie (2024): François Ozon
E’ il magico che si innesta sul reale, e il cinema di Ozon riesce sempre a rendere tragedia, thriller e melodramma sentimentale storia di tutti i giorni, tenendo ben regolato il calore della fiamma e il volume del suono.
Si esce un po’ più tristi e un amico, fuori, ti dice “E’ la vita!”.
Vero, l’avevamo dimenticato.
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