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The Life of Chuck

Regia di Mike Flanagan vedi scheda film

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Souther78

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La recensione su The Life of Chuck

di Souther78
5 stelle

Riflessioni esistenziali ed epocali si intersecano e si sovrappongono: dall'infinitamente piccolo all'infinitamente grande, l'opera è un susseguirsi di sovrapposizioni che finiscono per caricare eccessivamente, senza però nulla apportare realmente. Non pessimo, ma decisamente sopravvalutato: capace di costruire ma anche di smontare le premesse.

 
La fine di una vita, la fine della vita. Di tutta la vita, perloomeno fisica.
Abbracciare, nello spazio di un film, molteplici personaggi che si relazionano con se stessi e con la fine, intesa come limite supremo e sconcertante, è un traguardo oltremodo ambizioso.
 
Per prevenire la banalità, il regista compie una sorta di narrazione inversa, con la fine che anticipa l'inizio, dipanando gli accadimenti al contrario. Dall'universale al particolare. Dalla fine di tutto all'inizio di qualcosa.
 
L'individuo può sentirsi tale, ma farà sempre parte di qualcosa di più ampio, di una comunità: famiglia, parenti, amici, amori, classi, città, nazioni, pianeti, sistemi stellari, universo.
 
Gli stimoli, emotivi, visivi e intellettuali, non difettano, e il tentativo di amalgamarli è senz'altro meritevole, ma qualcosa non funziona affatto. Il dubbio amletico che ci travaglia è: abbiamo assistito a un genio visionario, oppure a un modesto tentativo di elevare qualcosa poco meno che sconclusionato ad alti ranghi? 
 
C'è un fine didascalico diffuso, che nella parte iniziale ricalca stereotipi correntemente assai in voga, somigliando a una trasposizione cinematografica dell'opera Catastrofi a scelta, di Isaac Asimov: dai terremoti ai vulcani, al crollo di Internet... non manca proprio nulla! E, però, a fronte di cotanta devastazione, non manca la deriva ideologica: "Ha stato il fanatico di destra negazionista!". Considerando la persecuzione esistenziale a danno dei più piccoli, ormai affetti da ansia ambientale, a causa della propaganda oscurantista a senso unico del mainstream di massonica proprietà, fa alquanto specie che un film con pretese di analisi dell'emotività e della psicologia punti l'indice contro il nemico fantasma ("fanatico di destra"), anzichè contro quello reale che si può vedere ogni giorno anche solo osservando i colori ridicoli assegnati oggigiorno alle temperature nelle previsioni meteo: sopra i 21 gradi siamo sull'arancione, e dai 24 in poi rosso spinto che manco Tinto Brass.... Maddai!
 
La dimensione individuale, per fortuna, soffre meno di retorica, ma la narrazione è decisamente inconcludente, mentre non mancano le visibili storture, tipo mettere un'attrice con padre peruviano nei panni dell'adulta, che da bambina era stata impersonata da un'asiatica.
 
In bilico tra una suspance che però non si verifica mai realmente, e una rivelazione che, però, è poi inutilmente diluita, la narrazione sembra discontinua e altalenante: costruisce abilmente un pathos che, però, finirà per svanire proprio come l'uomo nel letto d'ospedale.
 
Non mancano passaggi affascinanti, in alcuni casi esteriormente, in altri casi perfino intellettualmente: il tutto, purtroppo, sembra poi spacchettato e frammentato, lasciando un senso di incompiutezza che finirà per minare il risultato finale.
 
Ottime le prove attoriali e innegabilmente pregevoli le atmosfere sparse per il film, che denotano una cura per il dettaglio tutt'altro che trascurabile.
 
Non ci sentiamo di condannare, ma nemmeno di osannare l'opera: il senso di parziale incompiutezza e le digressioni che a volte sembrano infinite sembrerebbero quasi indicare un'immaturità registica di fondo. Se, però, guardiamo al cv del regista non possiamo certo considerarlo un novellino alle prime armi; cionondimeno, neppure sembra aver mai realmente elevato le proprie opere ad arte.
 
Interessante, ma tutt'altro che monumentale.
 
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