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After the Hunt - Dopo la caccia

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su After the Hunt - Dopo la caccia

di YellowBastard
6 stelle

Costruito più come un thriller filosofico che non come film drammatico, After the Hunt – Dopo la caccia di Luca Guadagnino propone un interessante ma fin troppo esasperata riflessione sull’etica contemporanea, rifuggendo ogni certezza e ponendo in dubbia qualsiasi verità assoluta, un dramma che diventa una seduta di autocoscienza.

Presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia, quello di Guadagnino è, sotto questo aspetto, uno (splendido?) film brechtiano dove ciascun personaggio deve far fronte a scelte complicate che possono andare in direzioni opposte e comportare diverse conseguenze per sé stessi e per gli altri in un dramma universitario post(?) #MeToo (troppo?) lungo e artificioso, scritto dalla sceneggiatrice debuttante Nora Garrett e che si colloca ampiamente nella tradizione dei vari David Mamet, Neil LaBute e con un tocco di Woody Allen.

 

Perspective changes everything in the new trailer for Luca Guadagnino's  After the Hunt - The AU Review

 

L’obiettivo manifesto di After the Hunt – Dopo la caccia è infatti quello di aprire una discussione sulle derive più rigide (e tragiche) dell’etica contemporanea che solo in parte è figlia degli eccessi del #MeToo.

Il film però non ne scioglie le ambiguità, semmai le amplifica perché quello che interessa a Guadagnino non è il gesto in sé ma le sue conseguenze, a partire dalla complessità della situazione, vera o falsa che sia, e dall’impotenza dei personaggi ad orientarsi in chiave morale all'interno di un mondo, quello chiuso anniversario che è però similare di quello esterno, dominato dall’ambizione e dall’opportunismo.

 

Il film è schiacciato da un proprio senso di attualità e da rischiose linee guida (Guadagnino riesce a malapena a moderare il suo disprezzo per gli archetipi dell'Ivy League esposti nel film) sottoponendoci fin dall’inizio a questioni semantiche quali l’idea che l’uomo, in qualsiasi forma di società, tenda sempre e comunque a giudicare gli altri (i social odierni sono soltanto dei nuovi, terribili strumenti ma non ne sono la causa) o dalla controversa affermazione per cui un candidato a qualsiasi carica che sia maschio, caucasico eterosessuale e cisgender in questo momento storico parta spesso sfavorito, oppure riguardo alla distinzione tra vita privata e vita pubblica e/o politica, ovvero dell’impossibilità effettiva di separare tra loro le due cose.

I vari riferimenti a Foucault, Arno, Arendt e James Joyce, in tal senso, invece di arricchire la discussione sembrano più un compiaciuto vezzo autoreferenziale che non un tentativo di coinvolgimento intellettuale.

 

Anche esteticamente quella di Guadagnino non è certo una visione romantica del mondo accademico, e in tal senso il veterano Malik Hassan Sayeed, direttore della fotografia al suo primo lungometraggio narrativo in 27 anni, crea immagini efficaci e ben poco rassicuranti, tutte sul grigio cemento e con la macchina da presa spesso a distanza di sicurezza, solo nei momenti più concitati Guadagnino taglia su dei primi piano serrati in cui gli attori guardano quasi direttamente nell'obiettivo, collocando così il pubblico direttamente al centro dello scontro, mentre la colonna sonora dei Nine Inch Nails, ormai ovunque e, spesso, innaturalmente assordanti, si insinua forzatamente nei dialoghi con l'introduzione periodica di un ticchettio inutilmente forte, simile a una bomba a orologeria ma che non porta mai a nulla di veramente chiaro o interessante come un'esplosione.

 

After The Hunt Ending Explained: Who Is Telling The Truth?

 

After The Hunt presenta certamente alcuni dei suoi tratti più distintivi (passione illecita, moralità scivolosa, un manierismo particolarmente estroso) ma il thriller universitario di Guadagnino appare più freddo, cinico e irrisolto dei suoi film più recenti, ha una sceneggiatura piuttosto deludente e meno trasgressiva di quanto vorrebbe far credere e, grattata la superficie delle sue timide provocazioni, si scopre in realtà un melodramma hollywoodiano d'altri tempi.

Gli ingredienti ci sono tutti, gente facoltosa, segreti nascosti, uno scandalo pubblico e divi in lotta tra loro ma se riesce a essere avvincente è soprattutto grazie ad alcune ottime interpretazioni piuttosto che per una sceneggiatura debole, ambientata nel 2019 e impantanata in accese guerre culturali di cui non riesce però a sostenerne le idee.

 

La protagonista Julia Roberts sprigiona un fascino cupo e stoico nei panni di Alma, una professoressa di filosofia a Yale stimata dai colleghi, apprezzata dai suoi studenti ma, allo stesso tempo, custode e protettrice dello status quo, mentre la sua protetta Maggie, interpretata da Ayo Edebiri, sembra costruita apposta per irritare il pubblico, una giovane donna afroamericana ritratta come guidata da un lucido opportunismo che grazie ai suoi privilegi e nonostante un intelletto poco “appariscente” si adegua con estrema (eccessiva?) disinvoltura alle pieghe della scorrettezza politica per trarne tutti i vantaggi possibili.

D’altro canto, il professor Hank, ovvero Andrew Garfield, narciso, sfrontato e vizioso sin dall’inizio, può avere benissimo fatto quello di cui è stato accusato mentre il resto del cast comprende l’ottimo Michael Stuhlbarg (quando è in scena la ruba a chiunque, anche alla stessa protagonista), Chloë Sevigny, Thaddea Graham, Will Price e Lío Mehiel.

 

After the Hunt' Review: Julia Roberts in a Drama of Sexual Accusation

 

Eppure, After The Hunt si rifiuta di condannare apertamente Alma o Maggie e, per fortuna, non scagiona nemmeno Hank, e questo non prendere posizione inevitabilmente deluderà qualcuno (e credo che in America le frange più progressiste non saranno affatto tenere con questa pellicola).

In parte è una scelta voluta in quanto si ha la forte sensazione che Guadagnino sia molto più interessato a sondare i dubbi e le contraddizioni di Alma, che è il personaggio che più si identifica con il pubblico, che a mettere in scena una pièce moralistica in stile post #MeToo, con un titolo che sembra volutamente alludere ai detrattori che definiscono il movimento una caccia alle streghe, ma anche perché l’intenzione è soprattutto quella di realizzare un thriller atipico, imperfettamente “cerebrale” ma comunque ritmato e (fin troppo?) elegante.

 

D’altronde la sceneggiatura è certamente inadeguata ad affrontare direttamente dei traumi così intimi e personali trasformati socialmente in fenomeni collettivi e di ritorsione politica da cui siamo diventati tutti, inesorabilmente, fin troppo esausti, puntando piuttosto su una riflessione sul potere e su uno scontro (anche generazionale?) tra individui che lo detengono e chi invece lo subisce, quel potere.

 

After the Hunt - Dopo la caccia - Teatro Cinema Italia - Pontassieve,  Firenze

 

Ambizione e opportunismo che, peraltro, nelle vite universitarie hanno sempre avuto il loro peso ma a cui la nozione di correttezza politica ha oggi, purtroppo, dato una retorica e una modalità di contraffazione perfino eccessiva e, spesso, incoerente anche con sé stessa.

Nata per ridurre o annullare (!) la disuguaglianza, l’ha in realtà spostata su un altro livello, quello della capacità di sapersi (rap)presentare nel modo più conveniente e politicamente (ma anche economicamente) redditizio.

In tal senso la ricerca di una verità giusta e reale, sempre e comunque, è oggettivamente impossibile perché spesso l'oggettività non esiste e la realtà è talmente sfocata, stratificata e complessa (di emozioni, storie e circostanze diverse tra loro) per essere davvero riconosciuta come tale.

 

Alla fine di tutto, cinque anni dopo, Alma e Maggie ottengono comunque, bene o male, quello che vogliono (Alma, persa la cattedra, diventa addirittura la nuova Preside dell’Università) mentre l’unico a rimetterci è stato Hank, ovvero il maschio bianco, caucasico, eterosessuale e cisgender.

Soltanto un caso?

 

After the Hunt. Dopo la caccia. La recensione del film di Luca Guadagnino

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VOTO: 6

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