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After the Hunt - Dopo la caccia

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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La recensione su After the Hunt - Dopo la caccia

di IlCinefilorosso
7 stelle

C’è, nel nuovo film di Luca Guadagnino, una tensione che non esplode mai, un’energia compressa che sembra vibrare sotto la superficie levigata delle immagini. Si potrebbe dire che After the Hunt sia il suo film più “freddo” e trattenuto, ma forse anche il più feroce (ben più del cannibalico Bones and All). Qui si passa dall’ode al desiderio come forza vitale all’anatomia di un desiderio che si è accartocciato su se stesso, corroso dal peso del potere, della morale e dell’immagine sociale.

 

La vicenda — una professoressa di filosofia (Julia Roberts) travolta da un caso di accuse di molestie che coinvolge un collega e un’ex studentessa — si inscrive nel perimetro del thriller e del dramma accademico, ma Guadagnino ne fa un laboratorio psicoanalitico e sociale. Il campus universitario diventa un elegante teatro dell’ipocrisia: corridoi laccati, aule monumentali, case borghesi inondate da luci lattiginose che non rischiarano mai realmente nulla. È il regno di una borghesia intellettuale che vive di formule etiche e di reputazioni da difendere, mentre sotto la superficie ribolle una pulsione costante, inconfessabile, che lega e insieme separa i personaggi.

Il film, infatti, è tutto giocato sul regime dell’implicito: gli sguardi tra i personaggi aprono a possibili sottotrame, le frasi alludono spesso a qualcos'altro, le verità rimangono celate, come se l’intero universo narrativo del film fosse costruito attorno al non detto. Là dove Call Me by Your Name celebrava il desiderio come fonte di conoscenza, After the Hunt ne mette in scena la degenerazione borghese: l’eros diventa ansia, il contatto è sostituito dal sospetto, e l’amore si decompone in strategie di sopravvivenza.

I personaggi del film sono piccoli mostri imprigionati nella propria razionalità, mostri di cultura, di autocontrollo, di colpa. Guadagnino li filma come fosse un esperimento da laboratorio, con la fotografia di Malik Hassan Sayeed che restituisce volti e ambienti in una luce clinica e al tempo stesso spettrale.

La musica di Reznor e Ross amplifica questa tensione interna, disegnando un paesaggio sonoro fatto di vibrazioni sottili, sospese, come se la colpa avesse un suo timbro musicale.

In questa geometria del silenzio, Julia Roberts costruisce probabilmente una delle sue interpretazioni più stratificate e intense della sua carriera. Alma è attraversata da molteplici contraddizioni, fragile e lucida, vittima e carnefice di se stessa. È il volto di una classe intellettuale che ha perso la grazia del dubbio e vive solo di rispecchiamenti morali, incapace di distinguere tra etica e istinto di autoconservazione.

Guadagnino spoglia la passione del suo erotismo per mostrarne l’altra faccia: la paura, il controllo, la crudeltà. In questo continuo rimando di sguardi e silenzi, si nasconde forse la violenza più autentica: quella che nasce dall’impossibilità di amare senza distruggere.

Alla fine, resta l’impressione che i personaggi di After the Hunt non cerchino la verità, ma solo una forma di giustificazione estetica al proprio male. Guadagnino li osserva nel loro lento disfacimento, come se la cultura stessa — la parola, la filosofia, il pensiero — fosse ormai un guscio vuoto, incapace di contenere il caos del desiderio.

 

 

 

 

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