Regia di Scott Beck, Bryan Woods vedi scheda film
Heretic è un thriller psicologico intenso, con Hugh Grant in un ruolo oscuro e manipolatorio. Un film che esplora il controllo mentale attraverso la religione. Grant è magnetico: controllato, sottile, mai sopra le righe.
Heretic (2024): locandina
Heretic (2024), diretto da Scott Beck e Bryan Woods, non urla, non punta su spaventi improvvisi o effetti speciali. L’orrore è silenzioso, radicato nelle persone e nelle idee, in un controllo mentale che gela il sangue. È un horror psicologico che lavora dentro lentamente, senza cercare lo spavento facile.
Due giovani missionarie bussano alla porta sbagliata. Dietro c’è Mr. Reed (Hugh Grant), uomo dall’aspetto rassicurante, ma con intenzioni molto meno innocenti. Le accoglie in casa e inizia un gioco mentale perverso, smontando le loro convinzioni religiose pezzo dopo pezzo. Ma l’orrore non è lui. L’orrore è quello che c’era già prima: una fede cieca che ha cresciuto due ragazze come automi obbedienti, incapaci di pensare con la propria testa.

Scott Beck e Bryan Woods, già noti per A Quiet Place (2018), adottano un registro minimalista. La regia è pulita, controllata, claustrofobica. Nessuna concessione estetica, niente virtuosismi. Solo tensione che cresce lentamente, scena dopo scena, parola dopo parola. Non ti portano in un incubo: ti ci tengono dentro.
La sceneggiatura è una lama affilata. I dialoghi sono il vero motore dell’orrore. Reed non è solo un manipolatore: è un filosofo malato che punta il dito dove fa male, che mette in discussione tutto, e lo fa con calma, lucidità, freddezza. Non si tratta solo di fede: il film mette in discussione concetti più profondi, come la colpa, l’innocenza e il libero arbitrio. E quando ti ritrovi a capire — o peggio, condividere — alcune sue parole, è lì che Heretic ti colpisce davvero.

Hugh Grant è spiazzante. In assoluto la prova più disturbante, intensa e sorprendente della sua carriera. Passa con naturalezza da accogliente a minaccioso, con uno sguardo o una variazione minima del tono di voce. Mai sopra le righe, mai fuori fuoco. Un predatore calmo, con il sorriso stampato in faccia.
Accanto a lui, Sophie Thatcher e Chloe East incarnano le due giovani missionarie mormoni, Sister Barnes e Sister Paxton. Thatcher, con il suo sguardo sospettoso e il fisico minuto, porta sullo schermo la fede fragile e il pragmatismo di Barnes; East, più aperta e dolce, rende la vulnerabilità e le paure di Paxton in modo autentico. Insieme formano un contrasto forte: due ragazze diverse, unite da una stessa fragilità. Il loro ruolo è centrale e reggono il confronto con Grant senza cedere un centimetro.

Heretic colpisce più per ciò che induce a pensare che per ciò che mostra. La tensione nasce dai dialoghi e dal confronto psicologico, esplorando temi come fede, controllo e manipolazione. Mr. Reed sfida le certezze delle missionarie e, attraverso di esse, quelle dello spettatore, lasciando un senso di inquietudine e di dubbio persistente. Il finale non offre risposte, ma solleva domande scomode: fino a che punto siamo disposti a mettere in discussione ciò in cui crediamo?
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