Regia di Lorcan Finnegan vedi scheda film
Tornato in Australia per surfare insieme al figlio nel luogo dove ha passato l'infanzia e nel quale intende acquistare una casa, un uomo (Cage) viene bullizzato da alcuni surfisti autoctoni. La sua gita si trasformerà in un inferno.
Lorcan Finnegan confeziona un pastiche che mescola il thriller psichedelico e il b-movie anni Settanta, con lettering vintage, surfisti in versione setta e prediche tossiche da santone new-age. Cage affronta la sua odissea con il consueto fervore, passando da uomo d'affari annoiato a relitto umano, derubato di tutto - orologio paterno, auto, dignità - fino a ridursi a bere da pozzanghere e a rosicchiare putridi avanzi. Il regista si diverte a esasperare volti, inquadrature (abbonda l'uso del fish-eye) e situazioni, spingendo la vicenda verso un delirio controllato, mentre Cage offre una performance estrema che gioca con il proprio mito di attore consacrato in ruoli borderline. Rimane comunque stupefacente il fiuto che l'attore californiano rivela verso le opere spazzatura, inanellandone una dopo l'altra. Qui siamo in quella terra di confine tra psicanalisi da quattro soldi e un horror che si traduce in una serie di allucinazioni che rendono indistinguibile una trama (comunque pretestuosa) dai meccanismi cerebrali del protagonista, comunque più saldi di quelli di un regista in costante effetto da peyote.
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