Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
“Chi vive sulla base delle idee genera morte”, più o meno questo sussurra definitiva Elizabeth quando conosce l’ambizioso Victor Frankenstein che della sua idea sulla battibilità della morte vuole fare pratica materia di studio e di ricerca. Le idee inseguite con follia uccidono. A Victor non importa, anche se lo spettatore sa che Elizabeth ha ragione: il mostro seminerà morte e distruzione, così come quando all’inizio del Frankenstein di Del Toro i marinai di una barca rimasta incagliata in una terra di ghiaccio vengono sbattuti e gettati via da questo omone con la faccia deformata come se fossero mosche. In compenso, quella violenza sui ghiacci sarà rileggibile e rivalutabile durante il film, in quell’oscillazione che ci fa dubitare della nostra percezione del mostro: quando, nascosto in un mulino, deve imparare a vivere, il mostro si accorge che un lupo che divora una pecora non lo fa perché la odia ma perché la violenza sembra connaturata nei rapporti tra gli esseri viventi, senza senso, quasi una forma di comunicazione canonica come il linguaggio verbale. Sono tutte riflessioni del sacco di Mary Shelley cui Del Toro riesce a dare il carisma delle cose importanti, dimostrando che fare un classico vuol dire ripetere con maestria. Tutto quello che vi aspettate c’è: il gotico colorato, l’attenzione feticistica ai classici dell’intrattenimento (dall’horror al melodramma), la filologia per chi nell’uovo cerca il pelo del worldbuilding, la violenza cartoonesca e visibilmente finta, da ennesima esperimento ibrido fra CGI ed effetto amatoriale. Ma questa è la volta del banco degli imputati, è tempo che la parola passi ai mostri, e al loro interrogativo su loro stessi, come in un effetto tulpa in cui una creazione comincia ad operare a prescindere dal proprio creatore, creando a sua volta. Di che materia sono fatte le emozioni? Di dogmatica umanità? E cosa ci cataloga come umani? Sempre le stesse domande con un instant classic di mirabili capacità narrative come risposta, un Frankenstein tribolato per dieci anni e infine ottenuto come se fosse il “mostro” eccessivo di un regista di melodrammi degli Anni Cinquanta, enfatico nei singoli momenti ed equilibrato nel suo perfetto complesso, una nuova fiducia nelle storie che hanno bisogno di nuova carne per essere umane.
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