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Presence

Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film

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La recensione su Presence

di Souther78
1 stelle

Noia totale, cast ridicolo, finale idem. "Thriller psicologico"? Nel senso che chi lo ha scritto, o chi lo considera un thriller, ha bisogno dello psicologo. Il nulla dilagante, impoverito da un ostentato estro tecnico, che finisce per rendere ancor più pretenzioso il pacchetto.

 
Steven Soderbergh è uno di quei registi che a volte realizzano prodotti mediocri, a volte sufficienti, ma che nessuno ricorderà come un maestro di capolavori. Dopo aver diretto Clooney in qualsiasi impresa cinematografica, stavolta ripiega su un manipolo di illustri sconosciuti e una Lucy Liu invecchiata (malissimo).
 
A giudicare dall'entusiasmo della Redazione e di numerosi accoliti, da questa visione ci si aspetterebbe l'estasi. Purtroppo, anche stavolta, la suggestione del nome (che poi, visto il cv, non si comprende neppure da dove origini esattamente) sembra avere giocato il suo ruolo: vogliamo scommettere che se lo stesso identico film lo avesse firmato Jacob Nobody, sarebbe tra quelli che qui non hanno ricevuto neppure un voto?
 
La celebrata "tecnica" consiste nientepopodimeno che in una versione edulcorata della telecamera a mano in stile The Blair Witch Project, e pure la "presenza" è la stessa: tanto fumo e niente arrosto.
 
La trama prevede una serie infinita di noiosissime scene di vita familiare di una famiglia composta anzitutto da una Lucy Liu, che, considerata l'età, sarebbe stata più adeguata nei panni della nonna dei teenager. C'è, quindi, un bolso marito-zerbino, con un paio di ragazzi inutili come figli. Con un simile, interessantissimo, cast, la noia sarebbe già garantita. Ma non basta: a peggiorare le cose ci si mette una sceneggiatura in bilico tra la critica sociale pretenziosa e inutile (poichè insussistente) e lo pseudo-paranormale. Se c'è qualcuno che si è spaventato per un soffio di vento, probabilmente deve ancora soffiare sulle 7 candeline.
 
Sul finale, il piccolo (si fa per dire!) emulo di Shyamalan gioca al capovolgimento, ma il risultato è grottesco: questo consumato serial-stupratore, infatti, dovrebbe essere così furbo da compiere tutto il possibile per farsi individuare come colpevole, dall'essere noto ai genitori della vittima, all'aver drogato il fratello... però, novello Danny Ocean, siamo certi che l'avrebbe fatta franca. Peccato che, proprio sul più bello, in un guizzo di genio, il suddetto fratello (posseduto?) pensi bene di suicidarsi, gettandosi dalla finestra assieme all'assalitore.
 
5 minuti di pathos in tutto il film, effettivamente ci sono, ma l'idiozia della conclusione ci rassicura sulla pochezza totale dell'insieme.
 
Finita la visione, controlliamo per scrupolo: sì, è proprio 7 il voto medio su Filmtv.it. "Fuorviante" è dire poco: proviamo a riportare la media su valori sensati.
 
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