Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Presence (2024): locandina
Soderbergh prende un fantasma e lo fa correre su e giù per le scale, da una stanza all’altra di una bella casa del New Jersey. Fuori chiara, luminosa, attraente, villetta tipica della tipica famiglia americana, padre, madre, due figli e ottimo reddito. Dentro ampi spazi sempre in penombra, arredo di rassicurante pretenziosità borghese, finestre chiuse, soprammobili e attrezzatura informatica che precipitano a terra, il repertorio ufficiale del fantasmatico prende forma poco per volta ma non suggerisce a nessuno l’idea di scappare a gambe levate.
Sembra, anzi, che la convivenza con fenomeni del genere non crei problemi, e a parte la figlia, colta da uno zoom della mdp mentre tortura le unghie nervosamente e il padre che, urtato dal linguaggio scurrile del figlio che dice “cazzo” ogni due parole, ironizza, per il resto tutto scorre e la partenza dei genitori per un week end che dovrebbe ricucire la coppia é festosamente salutato dai figli, liberi di scorrazzare come da copione.
Questi fantasmi! Thriller psicologico venato di horror, Presence sovverte i generi, Soderbergh e Koepp, suo fido sceneggiatore, puntano sul vero horror che è la convivenza in un sistema famigliare dove i mostri sono i vivi e non i morti, presenze che, se mai, tendono, nella loro conquistata onniscienza, a far giustizia lá dove fu perpetrato un crimine.
Nell’ apparentemente invidiabile vita in comune della famiglia X, un fantasma fa quel che può, confuso com’è perché anche la sua non-vita non è così facile e per farsi riconoscere dalla cara amica e aiutarla prima che l’assassino ammazzi anche lei avrà il suo bel da fare.
Lo spettatore è trascinato in pista senza tregua, ma non dall’abituale e scontato terremoto adrenalinico scatenato dall’oltremondo quando si manifesta, la soggettiva é quella del fantasma e di conseguenza la nostra, é la complessa macchina del nostro inconscio che si trasforma in spettacolo-cinema, e pulsioni, desideri, visioni interiori creano la storia. Ma cos’é la storia al cinema?
Soderbergh offre lo spunto, mette in campo un fertile materiale su cui lavorare, ogni arte ha il suo linguaggio, il cinema usa il suo.
Se smontassimo tutto resterebbe un articolo in cronaca nera, c’é stato un morto, ce ne sono altri due, tempo una settimana nessuno ci pensa piu.
Con Presence siamo di fronte allo specchio, di quelli antichi con belle cornici dorate che sono i migliori, dice la sensitiva, e la madre, nel finale, vede riflessa proprio lì la materializzazione dell’orrore, quello vero.
In poco più di un’ora il mondo sommerso emerge dalla palude, e lo skyline della società occidentale contemporanea è messo a fuoco.
Famiglia disfunzionale, droga, vite asfittiche, zero prospettive, impegni, interessi, c’è tutto il “bulicame” del rimosso coperto dal lucido coperchio del perbenismo
In finale torna l’ordine, o quello che chiamiamo convenzionalmente ordine, le favole finivano, una volta, con un bel “e vissero tutti felici e contenti”. Qui di felice e contento sembra esserci solo il fantasma, un caro angioletto protettore che tutti vorremmo avere in casa. Basta non avere la vetrinetta dei cristalli di Boemia a portata di mano.
www.paoladigiuseppe.it
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