Regia di Jean-Stéphane Sauvaire vedi scheda film
Partiamo dalla didascalia finale, che ci avverte che, "negli ultimi anni, il suicidio è una realtà sempre più presente tra gli operatori di emergenza. I decessi per suicidio sono ormai più di quelli in servizio. Dedicato a tutti gli operatori medici in emergenza nel mondo". È da queste parole che emerge il registro del film: cupo, ossessivo, senza vie di fuga. Città d'asfalto, diretto dal francese Jean-Stéphane Sauvaire, segue le vicende di due paramedici di New York, Rutkovsky (Penn, intenso come sempre e perennemente con uno stecchino fra i denti) e il giovane Ollie Cross (Sheridan), immersi in turni massacranti e chiamate d'emergenza in una metropoli violentata e senza redenzione. Lo schema narrativo è ripetitivo e volutamente tale. Ogni sequenza si articola in due registri: l'intervento (quasi sempre in contesti degradati o violenti, tra tossicodipendenti, senzatetto, madri disperate, corpi straziati), seguito da un momento di decompressione tra i due uomini, chiusi nell'abitacolo dell'ambulanza, che si scambiano impressioni, cinismo, qualche barlume di affetto. Una routine infernale in cui il trauma diventa pane quotidiano e il disfacimento morale si mescola alla sopravvivenza emotiva. Nel raccontare il coming of age del giovane paramedico costretto a scontrarsi col ruvido pragmatismo del più navigato collega, Sauvaire spinge la macchina da presa tra i corpi e dentro il sangue, ma anche nel vuoto esistenziale dei protagonisti. Il risultato, però, alterna momenti di forte impatto a derive grottesche, con effetti sonori e visivi sopra le righe. Il film pretende intensità, finendo con lo scivolare spesso nella pornografia del dolore.
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