Regia di Coralie Fargeat vedi scheda film
Elisabeth Sparkle è un'attrice non più sulla cresta dell'onda; cinquantenne, benchè ancora donna piacente, dal corpo tonico, è scartata dal cast di un popolare programma televisivo di ginnastica aerobica. Trauma s'aggiunge a trauma; coinvolta in un incidente stradale, a seguito di ricovero, le viene proposta da un misterioso infermiere, una soluzione ai suoi problemi. Facendo uso di sostanze chimiche di natura incerta, fornite da una entità ignota, ella può generare dal suo corpo un'altra "sè stessa", più giovane. L'unico vincolo, la necessità di alternare l'utilizzo dei due corpi; uno vive, l'altro si rigenera. Facile a dirsi, meno a farsi. Ben preso, l'una versione di Elisabeth, prende in odio l'altra, fino all'inevitabile scontro ed un epilogo tragico. Horror dai toni drammatici diretto dalla regista francese Coralie Fargeat, "The Substance" trae spunto dalla vicenda umana di Elisabeth per esprimere una pesantissima critica contro il culto dell'apparire che permea la società moderna, in particolare, nelle sue connessioni tra lo stesso e lo "star system". Elisabeth, attrice di fama, donna di rara bellezza, inizia a mostrare i segni dell'età; quasi impercettibili imperfezioni corporee non sfuggono al produttore del programma televisivo, il quale, attentissimo a questi dettagli, a beneficio degli indici di gradimento del pubblico - e pertanto degli azionisti - sceglie di rimuoverla dalla propria posizione, incurante delle conseguenze a danno della psiche della donna, la quale non conosce altro calore umano se non l'"affetto dei fan". La regista ce la presenta sola, senza amici ne' famiglia. Neppure un animale domestico lenisce la solitudine di Elisabeth all'esterno come all'interno del suo grande e lussuoso appartamento. Incurante - e la sceneggiatura non dà informazioni in merito - del chi, perchè, in cambio di cosa, fornisca la "sostanza", la donna ne fa uso, liberando dal suo corpo un altro, quasi fosse crisalide. Più giovane, più in forma, quasi perfetta, la nuova Elisabeth si presenta al mondo come "Sue". Ne prende il posto nel programma televisivo; grazie alle movenze, alla bellezza, all'ammiccante sensualità, entra nelle grazie del pubblico e pertanto del produttore e degli azionisti. Ben presto, la psiche di Elisabeth / Sue, si sdoppia. La stessa coscienza anima un corpo per volta, una settimana l'una, una settimana l'altra. Elisabeth ha cura del corpo di Sue, fremendo nell'attesa di poterlo "utilizzare"; Sue inizia ben preso ad odiare il corpo di Elisabeth, considerando la permanenza in esso tempo perso. Ignorando le istruzioni ricevute, lascia troppo a lungo inanimato il simulacro, il quale gradualmente si deteriora. Quando l'anima si sveglia quale Elisabeth, comprende ciò, inizia a provare invidia per la bellezza, la gioventù, la vitalità furiosa di Sue. La situazione precipita; i corpi vivono contemporaneamente per un breve momento. Poi una delle due Elisabeth è uccisa; la superstite comprende amaramente di non poter fare a meno dell'alter ego, subendo un irreversibile processo di degrado; ogni ulteriore azione del personaggio porta a nuovi abomini. Fino ad un frammento di felicità prima della fine. La sceneggiatura è libera da ogni vincolo con la realtà; il simbolismo monta, fino a prendere il sopravvento nelle raccapriccianti sequenze finali. Sin dall'inizio, inquadrature e scelte di fotografia guidano il "giudizio" dello spettatore. Il produttore televisivo che sgranocchia avidamente crostacei è di volgarità e sgradevolezza uniche; Sue è fisicamente splendida, ma il suo sorriso sa di falso, è infida. La sguaiata materialità dei selezionatori attesta l'uso di trattare i corpi come merce. Tutto è falsità ed ipocrisia, nel luminoso mondo dello spettacolo televisivo. Elisabeth lo comprende ma, come fosse droga, non può farne a meno; solo essere Sue le può far rivivere i suoi giorni di gloria; una gloria effimera, come attesta l'ultima sequenza; ella, dopo tanto patire, è comunque destinata ad essere dimenticata. Il sangue dell'Elisabeth di turno, cade sullo spettatore, il quale avrebbe il potere di rompere il meccanismo perverso dello sfruttamento della bellezza a fini commerciali ed edonistici, eppure vi si adegua, difendendolo con ferocia. Demi Moore rende una buona interpretazione di Elisabeth, un personaggio complesso, tragico. Non meno di Sue (Margaret Qualley), la vitalità della quale non ha possibilità di esprimersi liberamente, essendo costretta al "fermo per rigenerazione" una settimana si, una no. Dennis Quaid è Harvey, il produttore cinematografico, non meno squallido di tutti gli altri soggetti costituenti le altre rotelle del perverso ingranaggio. Il film è ambientato in una Hollywood poco riconoscibile; Elisabeth ha una stella dedicata lungo la "Walk Of Fame", la quale appare in un paio di occasioni. La regista francese non lesina scene di forte impatto; il ripetuto proporre deformità, lacerazioni corporee, deturpamenti, sangue ed interiora, può rendere la visione "indigesta". Ma il raccapriccio non è fine a sè stesso. Come insegna David Cronenberg, maestro del genere, cui Coralie Fargeat deve molto, l'orrore è strumento di critica, in questo caso molto decisa, contro un elemento della nostra contemporaneità. La supremazia dell'apparire sull'essere stritola personaggi quale Elisabeth, in difficoltà con la gestione di un'unica "sè", pertanto assolutamente incapaci di governarne due con razionalità. Avrebbe Elisabeth potuto salvarsi ? Forse. Se avesse avuto qualcuno vicino, magari il vecchio compagno di scuola che la incontra ed, in seguito, le strappa un appuntamento, invecchiato non benissimo, ma di certo sincero nell'esprimerle empatia ed amicizia. Ma lei non si presenta, lasciando che Sue, ll suo "io irrazionale", nutrito da un'ammirazione falsa ed ipocrita, la conduca alla rovina. Un film tragico, di forte impatto visivo ed emotivo; a distanza di diversi anni dall'esordio, coincidente con la direzione dell'apprezzato "Revenge", Coralie Fargeat dà un'ulteriore prova delle proprie capacità critiche ed espressive. Duro, ma gratificante.
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