Regia di Gérard Oury vedi scheda film
Il fuoco di fila di cannoni ha sparato il pallino di una cerbottana.
Ho voluto guardarlo perché il titolo albergava da qualche parte nei recessi più reconditi della mia memoria dell'infanzia, quando ero piccolo e di bocca buona. E ho preso, infatti, una cantonata. Non sono poi così rari questi casi, dove lo sforzo produttivo (compresa la mischia di divi) e il risultato raggiunto sono agli antipodi.
Se indovino facendo una radiografia delle intenzioni, la produzione deve aver pensato di prendere il Belmondo ironico e comico dei vari “L'uomo di ….”, gonfiare la comicità, convocare qualche altro divo internazionale, esagerare con le ambientazioni (Parigi, Roma, Londra...), iniettare azione a profusione, stupire il pubblico e farlo sbellicare dalle risa. L'operazione, però, è fallita miseramente, forse per essere ambiziosa ed esagerata. La comicità, infatti, è banale e sciocca; i divi si sbracciano ma non sanno che pesci pigliare; la sceneggiatura è piena di buchi, e si deve in continuazione cucire dentro le toppe che mancano. In generale, si ride pochino pochino.
Già da quando David Niven, all'inizio, sotorce il collo perché ha il cervello pesante, io storcevo il naso perché la cosa aveva l'aria di una buffonata. E tale rimane.
Se si voleva ispirarsi a “L'uomo di Rio” e successivi, ci voleva la stessa misura, la stessa ironia, e lo stesso garbo - elementi che qui mancano del tutto.
Con il misurato umorismo inglese di Niven, l'agilità di Belmondo, e le smorfie di Eli Valach si poteva produrre una deliziosa commedia, ma con questa sceneggiatura e questa regia anche i migliori mezzi vengono gettati alle ortiche.
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