Regia di David Lean vedi scheda film
“Voltati!!! Voltati!!!! Bussaaaaa!!! Bussaaaa!!!! Fatelo scendere!!! Fatelo scendere!!!! Corri!!!!! Nooooooooo!!!!” più o meno con queste parole (urlate) Nanni Moretti, nel suo Palombella rossa, rende uno degli omaggio più teneri allo straziante epilogo di un film che ha entusiasmato generazioni di pubblico, con il protagonista che stramazza al suolo dopo non essere, per un soffio, riuscito ad incontrare ancora una volta l’amore della sua vita. Il dottor Zivago sebbene all’uscita nelle sale, venne apprezzato solo parzialmente dalla critica, mentre l’accoglienza del pubblico fu clamorosa: secondo alcune classifiche rientra nella top 10 dei film che hanno incassato di più nella storia del cinema e ancora oggi detiene un record di permanenza in sala: 600 giorni a Roma. Realizzato nel periodo in cui Hollywood aveva sostanzialmente chiuso i conti con i grandi kolossal dell’epoca classica, Lean si cimentò comunque in un film ad altissimo costo (produceva Carlo Ponti che provò ad imporre la moglie Sophia Loren nel ruolo della protagonista femminile), girato in Spagna, Finalndia e Canada con un profluvio di comparse e costumi ricercatissimi. Così come per Lawrence d’Arabia Lean si avvalse del direttore della fotografia Freddie Young e del compositore Maurice Jarre. Entrambi, in entrambe le pellicole diedero un apporto fondamentale con sequenze riprese in modo sublime (i paesaggi innevati o quelli fioriti del Dottor Zivago sono parimenti stupefacenti di quelli desertici e rocciosi di Lawrence d’Arabia) così come in entrambi i casi le colonne sonore sono sostanzialmente inscindibili da queste pellicole: tra le note della balalaica è impossibile non commuoversi. Detto questo Lean ha sapienemente imbastito un prodotto che pur concedendo ampio spazio al melodramma, e seguendo in parte una formula ben collaudata sin dai tempi di Via col vento, ha saputo rendere appassionante la commistione di eventi privati accostati allo sfondo storico ove emergono gli scontri sociali e politici che sconvolsero l’assetto della Russia nei primi decenni del XX secolo. Inoltre gli slanci passionali, i difficili spostamenti nella steppa ed infine gli addii sono tutti ripresi in modo epico e sicuramente con quell’afflato poetico che ha spesso distinto la produzione del regista. Criticato per certe semplificazioni e chiaramente una narrazione degli eventi storici che ha un certo accademismo, il film rimane comunque efficace. Qualche cedimento si può notare nella seconda parte con il personaggio di Viktor Komarovskij che riappare in modo un po’ artificiale. Straordinaria la bellezza di Julie Christie che illumina ogni scena; più imbambolato il Omar Sharif, sebbene questo sia il ruolo più celebre della sua carriera. Nonostante alcune carenze e, come detto, un’accoglienza critica tutto sommato tiepida, il film venne tributato con 5 Oscar: sceneggiatura, fotografia, colonna sonora, costumi e scenografia. Tanto per evidenziare l’effetto dirompente del film nell’immaginario collettivo anche Dino Risi ne ironizzò alcuni passaggi nel suo Straziami ma di baci saziami i suoi protagonisti, sempliciotti un po’ ignoranti rivedono la propria storia d’amore in quella travagliata tra Yuri e Lara sino ad una spassosa sequenza con un Manfredi delirante che vede l’amata Pamela Tiffin separarsi da lui proprio come i protagonisti del Dottor Zivago.
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