Regia di Wes Craven vedi scheda film
Il sogno è materia preferenziale del cinema. Le pellicole  piantano sentitamente le loro basi nel sogno e da sempre possono  considerarsi come le assolute detentrici di una forza onirica senza pari.  “Nightmare – Dal profondo della notte” ha preso spunto da una serie di  articoli apparsi sul “L.A. Times” alla fine degli anni Settanta che  parlavano di giovani che erano morti durante un incubo e narra le gesta  di un gruppo di liceali capitanati da Nancy (l’esordiente Heather  Langenkamp) i quali, dopo essersi accorti di avere tutti la stessa  ricorrente visione, vengono assaliti per davvero dalla creatura che gli  compare in sogno. Il mostro ha un nome, Fred Krueger,  è armato di un guanto a cui sono incollati coltelli affilatissimi, e i  suoi assillanti e distruttivi propositi sembrano nascondere una verità  fino a quel momento celata.
“Nightmare” è pervaso da una serie di idee meravigliose sulla messa in scena.  Ombre cinesi si alternano a sipari strappati, vapori che sembrano fumi  dell’inferno nascondono pareti di casa che cedono come tela dietro la  spinta del Male, coperchi di contenitori della nettezza urbana che  rotolano in strada si avvicendano a corridoi scolastici vuoti e troppo  lunghi invasi dal fogliame autunnale, una  vasca da bagno che degenera in un fondale marino è uno spettacolare  luogo da incubo alla pari dei gradini melmosi e appiccicosi che cedono  sotto il peso di ragazzine in fuga. E c’è pure un letto mostrato come turpe sfintere (quando si dice gli effetti dannosi della televisione…) o riverberante bara.
Il sonno della ragione, si sa, genera mostri. E l’originalità del film, a dispetto delle esitazioni di tante case produttive che non ne volevano sapere di sganciare i soldi, sta proprio nel fatto che questo spettro della mente può essere reale e non esistere solo metaforicamente o rappresentato con fattezze allegoriche. Il demone di Fred da’ prova canzonatoria di non essere solo un’apparizione ectoplasmatica quando è costretto a far trapassare nella vita reale il suo cappello.
Campi lunghi alternati a improvvisi primi piani o a carrelli mossi  alle spalle dei protagonisti, con in più una macchina a spalla per gli  inseguimenti, la regia di Craven ci colpisce in maniera imprevista.  Ci fa saltare sulla sedia più volte, atterriti a un livello più intenso  di quello usuale. La violenza che mostra si nasconde nella  quotidianità, attende solo di cogliere l’opportunità per rivelarsi e  scaricare la propria voglia di devastazione. Quello del regista americano è un film catartico: consente di liberare la follia e la collera che abitualmente controlliamo e ci porta là dove la nostra fantasia ci conduce durante il torpore del sonno o grazie a stati di manipolazione sensoriale. La fotografia ben sostiene il lavoro di Craven basandosi sui toni del blu notte macchiati da oniriche chiazze color  porpora della consistenza e della forma di un geyser o di cibo scotto.
Fred Krueger, interpretato dal bravo Robert Englund, splendido babau dal maglione rosso e verde (la combinazione di colori più difficile da elaborare per l’occhio) è l’Uomo Nero più nero di tutti quelli apparsi sullo schermo:  cappellaccio calato su di un corpo ustionato, denti marci e lingua  lasciva. Spaventoso perché, come accade in tutti i sogni, entità  metafisica che può essere ovunque senza motivo attendibile: spunta  improvvisamente da dietro un ramoscello esile, si taglia le dita senza  in realtà ferirsi, allunga le braccia a dismisura solo per il gusto di  sentire lo sferragliamento che provocano i suoi coltelli.  A suo modo seducente quando sussurra e bisbiglia come se volesse  richiamare sessualmente le sue vittime, in grado anche di vestire i  panni di altri personaggi per confondere le idee. Mescola l’energia  comica con la forza sadica.
Può essere veramente tante cose: un folletto quasi familiare legato  alla sessualità, il Male recondito di una collettività, il timore dei  trapassati. La sua identità si permette di essere autoviolata tramite  tagli all’altezza del costato a far uscire vermi putridi; Fred è un Gesù alla rovescia, di conseguenza una perfetta incarnazione del Diavolo.  Seguendo la rappresentazione, neanche troppo dissimulata, del tugurio  sotterraneo dove alberga il maniaco (un oltretomba disseminato tra  avanzi di fabbriche e industrie), si capisce come la sua indole sia  quella infernale per eccellenza.
I genitori dei nostri adolescenti sognanti sono problematici al pari e più dei figli:  separati dai mariti o dalle mogli, troppo occupati a spassarsela a  letto con gli amichetti per cercare di capire l’origine degli incubi  dalla loro prole, sanno soltanto dispensare consigli ovvi e poco  interessati, si assentano da casa per una vacanza a Las Vegas (i  peccatori nella città del peccato), e sono così creduloni tanto da  essere gabbati da un semplice nastro che riproduce i rumori di un  aeroporto.
Ubriaconi  iperprotettivi e reticenti, condannano a morte i loro figli con il loro  atteggiamento negazionista. Costretti ad affrontare la negligenza e  l’ottusità degli adulti, i giovani ereditano la vita nuova mentre i più anziani ereditano la vecchiaia: a  quest’ultimi è dato solo di amministrare l’illusione di una minuscola  comunità pacifica con i suoi cerimoniali quotidiani. Molto spesso ai  confini col paradosso, anche il corpo di polizia non si distingue per brillantezza d’idee.
Verso la fine si viene a sapere che Fred era un maniaco che uccise  più di 20 bambini del quartiere, vittima del fuoco giustizialista dei  genitori. Con una prescienza non comune, Craven fa calzare alla sua creatura la sagoma dell’omicida in odore di pedofilia e l’alimenta di orrore anche solo per la sua ipotetica presenza come spettro infantile per eccellenza.
Il  fatto che il “nightmare” del titolo si collochi in una Elm Street,  sembra rivestirsi di un affascinante supplementare contenuto,  anche storico-politico. Al di là dell’usualità del nome della via,  sappiamo che la Elm Street più notoria e allo stesso tempo famigerata è  quella dove fu assassinato, a Dallas, John Fitzgerald Kennedy il 22 novembre del 1963. Uno dei più colossali shock visivi di sempre,  compiutosi oltretutto di fronte alla folla osannante il presidente che  sfilava per la città seduto nella sua auto. Un evento tragico che il  libro del procuratore distrettuale Jim Garrison prima e il film di Oliver Stone poi, hanno confutato nella sua prima percezione di verità e che pare  fatto apposta per assumere dolorosamente i contorni sfumati dell’incubo.
La striatura bianca sui capelli di Nancy, comparsa dopo un sogno  particolarmente potente, richiama l’effige di Elsa Lanchester ne “La moglie di Frankenstein”.  La giovane del film di Craven è pronta a diventare la sposa cadavere  del vile Freddy e a baciarlo rispondendo a un telefono che squilla pur  essendo stato staccato dalla spina. Nancy non è la classica bellezza  hollywoodiana, piuttosto è la ragazza della porta accanto, quella  persona a cui affideresti il tuo bambino per le uscite serali con il  coniuge. Da’ la sensazione di avere il coraggio tipico di certe  brunette: una qualità reale da contrapporre alle insidiose irrazionalità  del sogno. Interpretata dalla ventunenne Heather Langenkamp (che nella pellicola recita il ruolo di una quindicenne), Nancy è  destinata e divenire una delle facce più solide del cinema di Craven.
“L’uomo nero non è morto, ha gli artigli come un corvo,
fa paura la sua voce, prendi subito la croce.
Apri gli occhi, resta sveglio,
non dormire questa notte”.
La filastrocca, scritta dallo stesso regista, trasmette una chiara annunciazione sulla purezza che sta per smarrirsi a causa del sogno infestante raffigurato dall’orco con le lame; una  creatura, quest’ultima, ormai “epica”, nata dall’unione tra il fiabesco  infantile e la tradizione. Ai figli non basta aggrapparsi al crocefisso,  ne’ saltare la corda cantando nenie per esorcizzare la presenza del  mostro, corrono disperati nei loro incubi ma vengono irrimediabilmente  ripresi. Si manifesta qua e là un certo influsso dal film “L’esorcista”:  a parte la croce utilizzata come consueta arma scaccia demoni, le scene  dove Nancy viene guidata dalla madre nella clinica per i disturbi del  sonno rimandano a quelle tipiche dei film demoniaci in cerca di  spiegazioni scientifiche di fronte a fenomeni paranormali.
“A nightmare on Elm Street” è dotato di un  epilogo coraggioso e un po’ illusorio.  Non si pensi, fin troppo facilmente, all’idea di una serializzazione  premeditata: l’intento di Craven (che giunse a questo finale dopo vari  dibattimenti con i distributori) è quello di evidenziare la vittoria del  vilain contro ogni qualsivoglia tentativo di sottometterlo o  eliminarlo. Non c’è scampo per nessuno, e l’idea che si ha è  quella di essere rimasti in un vicolo cieco imperiosamente spinti dalla  forza maligna di Fred. Perché, se da una parte Nancy ha  individuato la vera sostanza dei sogni in un nulla che si nutre grazie  alla sola percezione, dall’altra la giovane è rovinata nel conclusivo  inganno del mostro.
Non resta che dare a tutti l’appuntamento, a mezzanotte, sulle frequenze di TeleKrueger. Sogni d’oro.
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