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L'OPERA SOLITARIA DI UN GENIO. IN MEMORIA DI LEONARD KASTLE.
di Marcello del Campo ultimo aggiornamento
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Marcello del Campo

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L'OPERA SOLITARIA DI UN GENIO. IN MEMORIA DI LEONARD KASTLE.

Io non credo sia possibile realizzare un film come Honeymoon Killers con uno degli Studios.
 
Non credo che in America ci sia un solo regista che decide tutto il suo film, nemmeno uno


Regista di un unico grande film, il leggendario The Honeymoon Killers [opera seminale del noir grottesco, dolciastro, grandguignolesco a venire, uscita nella temperie più rivoluzionaria dell’America del Black Panther Party, arrivata in Italia al Festival di Pesaro 1970 con grande clamore e interpretazioni variegate (“Sciocchezze”, le definì Marguerite Duras, presente in sala. “Questo è il più grande film d’amore che abbia mai visto!”, disse, bocciando gli invasati assertori degli amanti come soggetti desideranti anti-sistema], l’umanista Leonard Kastle, l’artista che non vendette la sua anima agli Studios, è morto mercoledì 18 maggio nella sua casa delle Catskills.
 
Amato da François Truffaut cui fece leggere la sceneggiatura del film Le nozze di Cana, un sogno rimasto irrealizzato, - avrebbe voluto girarlo in Italia Kastle, ammiratore del cinema di Pasolini (“Per me Pasolini è stato uno dei più grandi artisti mai vissuti.”), ma la sua ‘teorica’ del cinema come prodotto di un solo uomo, il regista, l’idea che mai abbandonò, essere la sceneggiatura l’asse portante dell’arte cinematografica, l’asserzione mai rinnegata che un vero regista è solo colui che scrive la ‘sua’ sceneggiatura, tutta questa resistenza alla macchina produttiva è stata le cause che ha impedito al sommesso artista, cineasta, direttore d’orchestra, musicista di rango (studi per pianoforte con Paul Wittgenstein, compositore amico di Samuel Barber e Giancarlo Menotti, autore di “musica raffinatissima e carica di trasporto, Leonard Kastle adorava Mahler, la filosofia, gli animali di cui si è sempre circondato, Praga. Era un genio istintivamente allergico ai poteri e all’ipocrisia”, scrive Giulia D’Agnolo Vallan, Il manifesto.)
 
 
The Honeymoon Killers è un thriller basato su una storia vera: girato con pochi soldi, diretto seguendo uno stile documentaristico, in bianco e nero e venato di sfumature espressionistiche, percorso dalla musica di Mahler, in stridente contrappunto bestiale alla mente, il film indaga il fondo oscuro delle relazioni interpersonali tra due amanti infernali e le sciagurate vittime scelte tra le  Miss Lonelyhearts che erano state nel 1933 protagoniste di un romanzo memorabile di Nathaniel West.
 
Ho visto Honeymoon Killers al cinema, in prima visione (privilegio dell’età matura!), poi in visioni successive, fino all’omaggio che l’impagabile Enrico Ghezzi ha dedicato due anni fa circa in una notte di Fuori Orario. Dopo il film, per niente invecchiato, anzi stupefacente, seguiva un’intervista a Leonard Kastle, fatta in occasione della proiezione del film al Torino Film Festival 1992.
 
Con molta pazienza ho trascritto alcune parti.
 
LA GENESI DI HONEYMOON KILLERS.
 
Ghezzi: Ci racconti come è stato realizzato Honeymoon Killers e come mai lo ha diretto lei. Va bene come introduzione?
 
Kastle: Un mio amico voleva realizzare un film. Io ero un compositore d’opera e adoravo il cinema, ma non pensavo affatto di realizzare un film. Lui andò a trovare un suo amico molto ricco che gli disse: “Hai sempre voluto realizzare un film, ti do 140.000 dollari. Al fisco li dichiarerò come perdita e tu farai un film.” Venne da me per dirmi che aveva un’idea per un film su Martha e Ray che furono chiamati I killers dei cuori solitari. Fu un caso molto famoso nel 1949. Mi disse che gli serviva qualcuno che scrivesse il copione e che non poteva permettersi uno sceneggiatore di Hollywood. Così chiese a me di scrivere la sceneggiatura.
Bisognava fare molte ricerche perché il caso fu giudicato a New York nel 1949 e fu il processo più lungo mai tenuto nel tribunale del Bronx dove furono processati per quegli omicidi. Qualcuno dovette andare a leggere gli atti del processo e lo feci io. Lo feci per due settimane tutte le mattine. Mi appassionai al caso e a quello che era successo in realtà. Nessuno sapeva ciò che era successo quando furono uccise quelle donne. Per me aveva un fascino molto creativo il fatto di cercare di ricostruire la vera storia. Lo feci scrivendo la sceneggiatura.
Dopo aver scritto il copione decidemmo di realizzare il film. Scegliemmo gli attori e andammo in campagna dove girare costa di meno. Facemmo a meno dei sindacati di New York, usammo quelli locali. La troupe era composta da un solo cineoperatore, un tecnico del suono e usammo il più possibile la luce naturale. Iniziammo le riprese e Warren ingaggiò un giovane regista: Martin Scorsese. Le cose non funzionarono, ci furono dei problemi. Lui si prese molto tempo per le riprese. Ci fu una sequenza insignificante sul treno dove impiegò delle ore. Non era ciò che volevamo. È un regista straordinario ma col nostro film non andava bene. Così ci trovammo senza regista. Ero lì per fare i cambiamenti, per fare il lavoro dello sceneggiatore. Ero molto coinvolto nel film, avevo fatto anche il casting.
Mi dissero: “Tu sei l’unico a sapere come dovrebbe essere il film. Sei tu che devi dirigerlo.” Così lo diressi e alla fine lo montai pure aggiungendo la musica. Eccoci qui. Questa è più o meno la storia del film. [pausa]
 
Kastle: Ho un altro commento interessante da fare sul film.
 
Ghezzi: Partiamo?
 
Kastle: Quello che trovo affascinante e che mi dà molto piacere in questo film è il fatto che nessuno ha mai parlato della sceneggiatura. Era come se tutto in quel film fosse successo realmente  e tutti i dialoghi fossero realmente pronunciati da quelle persone. In realtà ho inventato almeno l’80% dei dialoghi del film. In realtà nessuno sa come quella donna anziana era stata uccisa, e nessuno sa cosa si siano dette quelle due persone. Non era scritto negli atti, doveva essere tutto inventato. Delle due donne della storia che riescono a uscirne vive non potevo scrivere perché ci avrebbero fatto causa. Così dovetti inventare delle donne che in realtà non esistevano.
Mi dà un grande piacere poter credere, come io credo, che un film sta tutto nella sceneggiatura. Non sono d’accordo con la teoria dell’autore… Io credo che il regista sia l’autore di un film. È il vero autore solo se ha scritto anche la sceneggiatura. Spesso è il distruttore di un film se non ha scritto lui il copione. Io sono stato molto fedele alla sceneggiatura nella realizzazione di questo film. Ci fu una controversia con il produttore che portai in tribunale su chi avesse realmente diretto il film. Feci una ricerca sul mio copione e trovai la copia scritta a mano. Avevo in mano la sceneggiatura originale scritta da me. Non scrivo a macchina, solo a mano. Così penso meglio. Io scrivo su legal stationery, su dei grandi fogli gialli. Ormai erano passati tanti anni da quando l’avevo scritta. Sono stato contattato da una giornalista quando recentemente il film è uscito di nuovo in California. Lei aveva scritto delle cose su di me, ma non conosceva la storia. Le ho detto che avevo trovato la mia sceneggiatura originale e che avevo rispettato l’autore quando avevo realizzato il film. Nel copione ci sono molte cose che non compaiono nel film perché avevo scritto troppo. Avevamo solo 140.000 dollari e volevo finire il film. Ma non c’è niente che non compaia anche nella sceneggiatura. Nel copione c’erano anche le angolazioni della cinepresa, tutto. Gli occhi della donna quando la pistola le arriva alla testa, tutto. Penso e forse anche perché è una cosa in cui credo, che questo sia il motivo per cui non ho fatto altri film. Preferisco non farli che fare schifezze. Dopo il film ho avuto un’importante esperienza a Hollywood ma non è stata molto piacevole…
 
Ghezzi: Lei ha detto di avere inventato l’80% del film. Quanto dei personaggi Martha e Ray è stato inventato? Perché lei è così grassa e lui un latino?
 
Kastle: Perché in realtà lei era grassa. Lei era un’infermiera che pesava più di cento chili. La sua amica manda il suo nominativo a un club di cuori solitari. Poi incontra Ray, un latino, il cui lavoro consisteva nell’incontrare donne solitarie attraverso questo genere di club. Tutto questo è vero. Ed è vero che uccisero una donna anziana ad Albany. Quella parte è quella più vicina ai fatti. La donna anziana era morta e non c’erano problemi a rappresentarla. Ma quello che realmente successe quella sera… Fu uccisa con un martello. Ma quello che realmente successe quella sera non lo sa nessuno. Loro ammisero che lei voleva indietro i suoi soldi, che era diventata nervosa perché aveva scoperto l’inganno e alla fine la uccisero con un martello. Ma nessuno sa con esattezza le cose, bisognava inventare. Bisognava tirarci fuori un dramma pieno di suspense. Per me il film è come un’opera per come si è sviluppato l’omicidio. Ray e Martha furono processati insieme. Ebbero un unico avvocato che rappresentò entrambi. Fu tutto molto confuso: l’una diceva una cosa e l’altro un’altra. Li tennero separati e non gli permisero mai di stare insieme. Dovemmo inventare parecchie cose. Di certo non mi sono inventato la storia. Forse sono stato un po’ iperbolico, ma dagli atti del processo c’era davvero molto poco da trarre, non abbastanza per farne un film. C’era abbastanza per trarne dei personaggi, ma non azione e storia. [pausa]
 
Kastle: Posso rendervi meglio l’idea se vi racconto la fine del film. Ciò che successe veramente e ciò che feci io. In qualche modo simboleggia come si realizza un film da una storia vera quando di essa se ne conosce solo una piccola parte. Quando uccisero Delphine Downing, la giovane donna, e poi uccisero sua figlia annegandola nella cantina… Dopo che Ray seppellì i cadaveri nella cantina disse a Martha che dovevano andare via da lì. I vicini di casa erano molto sospettosi di quei due estranei che vivevano insieme alla bella vedova e a sua figlia. I vicini non accettarono quei due estranei. Ray disse che dovevano andare via subito. Ma Martha voleva che lui la portasse al cinema. Lui la portò al cinema e così rimasero a dormire lì con i cadaveri nella cantina. Quando tornarono a casa, Ray disse che dovevano andare via da lì, che aveva un’altra donna da incontrare. Una donna a New Orleans, me la sono inventata io. Ma Martha non volle andare via, così restarono. Restarono alcuni giorni. Lei non volle andare via. Alla fine, dopo tre o quattro giorni, i vicini di casa che già erano sospettosi e che non avevano visto uscire né la donna né la figlia, iniziarono a chiedere dove fossero Delphine e Rainelle. I vicini chiamarono la polizia che scoprì il delitto. Nel film si vede Martha che va al piano superiore. In realtà nessuno sa chi chiamò la polizia, però arrivò. Nel film faccio andare Martha di sopra e la faccio sedere nell’alcova dove mi piace molto l’effetto della luce con l’oscurità e le faccio fare una telefonata. In realtà, non fu lei a telefonare.
Questo è un esempio. Litigai con gli attori perché loro volevano uno scontro con la polizia. Fu molto difficile convincerli, dovevano fare il film come l’avevo scritto, altrimenti niente film. È soprattutto per il finale dove è Martha a fare la telefonata e dove lei gli dice addio che sembra una storia d’amore. Alla fine gli toglie la parrucca e dice: “Non ti serve questa.”. Adoro quella parte dove lei dice: “Stringimi.”. Poi gli toglie la parrucca e gli dice; “Questa non ti serve più.”. Ovviamente in realtà non è mai successo. Non voglio darmi delle pacche sulle spalle da solo, però sono quelle le cose che uno sceneggiatore fa per rendere interessante o meritevole un film.
La vera storia d’amore è grottesca. Nella vera storia d’amore l’ultimo desiderio di Martha… il produttore voleva che lo mettessi nel film, ma mi rifiutai. L’ultimo desiderio di Martha fu di essere giustiziata insieme a lui sulla sedia elettrica seduta sopra di lui. È la verità. Non è andata così perché si sono rifiutati, ma era quello che voleva lei. Se metti questo nel film, l’hai rovinato. Qualunque opera artistica, anche un film, può essere una grande opera d’arte. Per me Pasolini è stato uno dei più grandi artisti mai vissuti. Ha avuto grande influenza sul mio modo di fare film. Una grande opera d’arte, che sia un pezzo di musica, un quadro, un film, per me stanno sullo stesso li, è il risultato finale di un milione di scelte che l’artista deve fare. Non una grande scelta, ma molte scelte. E quando sono delle scelte buone, allora tra di loro c’è un’unità, un’unica visione proveniente da un solo cervello. Una visione può essere in un solo cervello, non in un gruppo, nei produttori o nei finanziatori, ma in un solo cervello. Quando sono prese tutte quelle decisioni e sono giuste, allora può venire fuori un film meraviglioso, un quadro meraviglioso o un concerto meraviglioso, una sinfonia o un’opera meravigliosa.
 

 

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