Indietro fino a dove tutto ha avuto inizio, nella testa di una ragazza diciottenne, scrittrice, che una notte del 1816 sul Lago di Ginevra riuscì a dare un volto ai propri demoni. Boris Karloff certamente era uno di essi.
La mutazione come frontiera, la fusione come destino, l'accettazione di sé come negazione di ciò che è inessenziale, per quanto dolorosamente "umano". Il film per me più spaventoso di sempre.
Perché noi siamo macchine, dotate di astrazione. Tranne quando obbediamo, e le protesi degli ordini prendono il controllo. Aumentando la potenza ma uccidendo il sogno.
Quando invece anche la macchina può sognare. E perdersi nel mondo, comprendersi, ricordare, cercare anch'essa un'argine all'orrore. Quanto di umano, originale, doc, rimane nell'uomo che spara per ucciderla?
La robotica di Verhoeven è meno romantica di quella di Cameron ma più viscerale, sporca, patologica. Pezzi di metallo, chip e ammassi di lamiera conficcati nella carne come stupida fantasia di ordine e "reazione".
Con Sigourney Weaver, Charles Dance, Lance Henriksen
Primi passi, incerti, di David Fincher per mostrare il mostro che coviamo dentro, nella pancia. Dove forse lo abbiamo sempre avuto. Allevato e accudito con cura.
Il grande vecchio Clint, sbirro, sempiterno fantasma di Callaghan a un passo dal declino, che per sopravvivere a un infarto ha bisogno del cuore di una chica messicana trapiantato in petto. La giusta fine di un'era, il ribaltamento di prospettiva ( e di senso) che volevamo.
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