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Fango, sudore e polvere da sparo

Regia di Dick Richards vedi scheda film

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La recensione su Fango, sudore e polvere da sparo

di rocky85
7 stelle

“Figliolo, il cowboy è una cosa che uno fa quando non sa fare nient’altro”, sentenzia il cuoco al giovane Ben (Gary Grimes). Eppure il ragazzino da sempre sogna la vita avventurosa, sogna di guidare una mandria, andare a cavallo, “insomma fare il cowboy”. Così lascia la casa e la fattoria e si unisce al gruppo di Frank Culpepper (Billy Green Bush), che lo assume inizialmente come la “marianna” (cioè l'aiutante) del cuoco. Durante il viaggio per condurre una mandria di vacche a Fort Lewis, Ben si accorgerà però di quanto è crudele e violenta la vita del cowboy, e di quanto le sue fossero solo false illusioni. Fango, sudore e polvere da sparo, diretto dall’esordiente Dick Richards (che ne ha scritto anche il soggetto), è un anomalo e crudo western che appare a prima vista come un racconto di formazione. Quella del piccolo Ben, sveglio ragazzino di campagna che nell’inseguire il suo sogno, apprenderà una dura lezione di vita. Ma a Richards interessa soprattutto il realismo della messa in scena e, in clima revisionista tipico degli anni Settanta, spogliare la figura del cowboy dell’alone romantico con il quale era sempre stata descritta. I cowboy non sono più visti come uomini liberi e avventurosi, ma come rifiuti della società, diseredati e disoccupati che si fanno assumere per un dollaro al giorno e che sono pronti a tutto per quella paga, soprattutto a sparare quando ce n’è bisogno e senza farsi troppi scrupoli. Ad inizio anni Settanta il western classico era ormai tramontato, così come l’epica ed il romanticismo del vecchio West, e la lezione di Peckinpah nelle sequenze violente aveva influenzato molti registi. Fango, sudore e polvere da sparo risente di questa nuova impostazione stilistica ma propende per vie proprie ed originali, utilizzando al meglio la bellissima fotografia di Lawrence Edward Williams e Ralph Woolsey. La sceneggiatura è cinica quanto basta (“Come si chiama il tuo cavallo?” chiede Ben ad uno dei cowboy, che gli risponde “Perché dare un nome ad una cosa che prima o poi dovrai mangiare!”), il cast pieno delle facce giuste. Il finale, con i brutti ceffi che si riscattano in un impeto anticapitalista, è amaro e disincantato e non si dimentica. Insomma, un altro film misconosciuto degli anni Settanta, che andrebbe rivisto e rivalutato.

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