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Jona che visse nella balena

Regia di Roberto Faenza vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Jona che visse nella balena

di fiore
8 stelle

La famiglia Oberski, padre madre e il piccolo Jona è una famiglia felice. Ma la felicità dura fino al giorno in cui ad Amsterdam si decide che non devono essere più venduti generi alimentari agli ebrei.
Il dramma della storia, che la voce fuori campo del giovane Jona ci racconta, non inizia quando con la madre vengono trascinati via dai “soldati vestiti di verde”; in quel caso era stato uno sbaglio, un equivoco……la loro famiglia aveva il visto per la Palestina! Il vero dramma di “Jonah” inizia quando, seduto sulle scale di casa, un ragazzo più grande gli spezza l’annaffiatoio con cui stava giocando, chiamandolo “sporco ebreo”. Il successivo arrivo dei soldati, che lo strapperà definitivamente, dal suo letto, dal suo triciclo, dalla sua casa… per portarlo in quel “posto dove si recitano le commedie pur non essendoci attori” ci viene mostrato dall’alto di una soggettiva del piccolo protagonista davvero efficace; il bambino si tappa le orecchie per non sentire le urla disperate della gente, le urla indisponenti dei soldati….. le canzoni ebraiche che i deportati canteranno in sottovoce nel campo di smistamento in cui verranno portati subito dopo.
La storia continua mostrando tutto l’orrore che chi non ha vissuto pensa di conoscere sull’ Olocausto: assurdità, angherie, disumanità, domande senza risposte (“come fanno gli adulti ad andare via senza le scarpe”?), fame, istinto di sopravvivenza e necessità di bisogni primari.
Mentre, trasportati da un campo all’altro, la speranza di raggiungere la “Terra Promessa” si trasforma pian piano in illusione, la famiglia Oberski riesce a riunirsi per qualche minuto grazie a quel pacchetto di sigari che al tempo della loro partenza stava rischiando di farli dividere e con cui la madre riesce a corrompere un medico dell’infermeria: si vergognano l’uno dell’altra, perché non hanno più i capelli, perché sono sporchi, malvestiti, denutriti, ma ciononostante lei sente il bisogno - forse perché presagisce che sarà per l’ultima volta – di fare l’amore con il marito, costringendo Jonah non ancora in grado ci capire, a stare girato di spalle.
Le lacrime che il bambino non riesce a far venir giù nel campo alla morte del padre, facendogli meritare la carica di “caporale” dai ragazzi più grandi, vengono fuori insieme alla rabbia e a quelle versate quando, oramai “libero”, scopre che le strade per l’ospedale non sono chiuse (non ci sarebbe motivo ora che non sono più in un campo di prigionia) ma la sua amica Simona non vuole accompagnarlo perché non ha il coraggio di rivelargli la morte di sua madre.
Se Jona, oggi scienziato ad Amsterdam, è riuscito a sopravvivere a tutto questo e a raccontarcelo nel libro “Anni d’infanzia” da cui R. Faenza ha tratto questo commovente film dal realismo distaccato e - allo stesso tempo - coinvolgente, non è grazie al “Gam Gam” che la maestra gli insegna durante le lezioni nel campo prima che anche questo diventi vietato, né grazie al cavallo bianco montato dal fiero fantino di razza “ariana” che il padre gli mostra al di là del recinto riuscendo a farlo sorridere, né grazie al cucchiaio regalatogli dal cuoco per “tuffarsi” – di nascosto – a ripulire i pentoloni della cucina, né grazie alla famiglia che lo adotta da orfano, ne grazie al clown Mr Puppet…… che pure non lo ha mai abbandonato.
Se Jona è riuscito a “rinascere” da tutto questo è stato, forse, solo grazie alla fiducia nelle parole che la madre gli diceva da bambino mentre ascoltavano la sua canzone preferita (una meravigliosa “Jonah who lived in the whole” scritta da Dandylion ed Ennio Moriconi): “se Jona è riuscito a venir fuori dal ventre di una balena, noi non dobbiamo aver paura”.

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