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Rebirth

Regia di Karl Mueller vedi scheda film

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La recensione su Rebirth

di Furetto60
6 stelle

Singolare thriller psicologico. Parte alla grande, poi si perde un tantino, tuttavia è un'utile riflessione sulla pericolosità delle sette

Kyle, è un giovane padre di famiglia, felicemente sposato ed impiegato come “responsabile social-media” in una banca, incontra Zack, un ex compagno di college, questi lo invita a trascorrere un weekend singolare, dall’eloquente nome Rinascita, una sorta di programma di autorealizzazione, in compagnia di un guru motivazionale.Chi accetta l’esperienza, deve però prima di entrare in "questo mondo di Oz" rinunciare a effetti personali  e a qualsiasi dispositivo tecnologico, lo scopo sarebbe quello di ritrovare sé stessi ,per recuperare una identità più alta e più positiva. Prima riottoso, alla fine Kyle si lascia persuadere, anche perché lusingato da promesse di miglioria spirituale e convinto dall’amico di poter interrompere l’evento a sua discrezione, in qualsiasi momento, insomma senza impegno. Niente di più falso, in realtà scivola in una realtà violenta e pericolosa e irreversibile, calato in un terribile incubo, una trappola surreale da cui nonostante le continue rassicurazioni di membri di uno staff, sempre più schizofrenico, pare impossibile venirne fuori. Il ritiro di Kyle si trasforma ben presto in una prigione fisica e psicologica, catapultato in un vortice di psicodrammi, tra situazioni di seduzione e di violenza. Nel frattempo i coordinatori, cioè gli adepti esperti, ormai maturi dell’esperienza e ad essa affiliati, continuano a ripetere di rimanere tranquilli, praticando bizzarre tavole rotonde sul tipo degli alcolisti anonimi, in cui si verificano questi surreali incontri/confronti o scontri, supervisionati da questi sedicenti taumaturgi dell’animo, al ritmo del mantra “Respira” suggerito per evitare gli attacchi di panico dei neofiti. Kyle prende coscienza con orrore che "Rinascita" è una sorta di girone infernale, che lungi dal farlo sentire meglio, non fa altro che soggiogarlo, con continue prescrizioni oscure e ambigue, strumentali a disorientarlo, facendogli smarrire i suoi abituali riferimenti, libero di andarsene ma non di evitarne le conseguenze, schiavo senza catene materiali, ma finemente piscologiche.Kile precipita in una voragine di paranoia Kafkiana, senza vie d'uscita. Dopo aver mostrato intriganti potenzialità nella sua prima parte, il film di Karl Mueller, quasi un esordiente, si arena, accartocciandosi su sé stesso. Tuttavia anche se l’intreccio perde il mordente iniziale, la storia è comunque apprezzabile, per gli  spunti di riflessione su queste pseudo-organizzazioni sociali,  religiosi o laiche, vere e proprie sette pericolose, che prospettando  un modo più felice di stare al mondo e  facendo leva sulla vulnerabilità di soggetti deboli o emotivamente labili, li attirano per poi incastrarli in un meccanismo perverso, che di fatto li schiavizza, cooptandoli con violenza  ed estorcendogli  risorse economiche. Mi viene in mente a riguardo la disavventura capitata alla show-girl Michele Hunzicher, che ha raccontato come sia finita vittima e ostaggio di una spregiudicata pranoterapeuta e del suo clan, sotto il giogo di una catena di ricatti, da cui ha faticato non poco a liberarsi e  allora il film  può servire  come monito, a mantenere un sano equilibrio e a coltivare  senso critico, utile a  non cedere a lusinghe da parte di  stregoni e ciarlatani o falsi profeti, che promettono felicità a buon mercato o  sogni di libertà e successo, che possono avere la sola conseguenza di rendere dipendenti da qualcuno o da qualcosa

 

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