Regia di Morten Tyldum vedi scheda film
Non c’è la velocità di curvatura e nemmeno tunnel spazio-temporali: nel futuro rappresentato in questo film ci si deve arrendere alle distanze, le enormi distanze che separano un sistema interplanetario dall’altro. La fuga dalla terra è ammessa come è ammesso l’approdo del partente alla lontanissima meta agognata, con il non trascurabile particolare di dovere necessariamente giacere in stato di ibernazione artificiale per oltre un secolo dando così l’addio a qualsiasi legame e persino, se vogliamo, ad un epoca. La gigantesca nave interplanetaria oltre ad essere ovviamente un mirabile prodigio tecnologico viaggia piuttosto rapidamente raggiungendo una velocità pari a metà di quella della luce, ma le distanze abissali del cosmo proibiscono normali promenade stile “Galassia Express”.
La nave è protetta da scudi termici, mangia libri di cibernetica…e soprattutto si auto-ripara, ma non sempre in maniera impeccabile.
Perciò l’esordio del film ci regala un affresco di futuro solo immaginabile, dove un gigantesco vascello spaziale resiste apparentemente all’impatto di un gruppo di asteroidi; ed una beffa: poiché tutto non può essere previsto e il rischio-zero rimarrà perennemente una chimera, uno di quei viaggiatori viene svegliato dalla sua ibernazione con un anticipo piuttosto pesante sulla data dello sbarco, ovverosia novant’anni.
Solo e unico tra cinquemila passeggeri e duecentocinquanta membri dell’equipaggio. Solo ed unico a vagare su quell’enorme prodotto dell’ingegno umano dove viene assistito e rifocillato da soggetti sintetici, siano essi computer, robot aspirapolvere o barman androidi. Giorni, mesi, per poi venire soffocato dall’eterea e colossale presenza della solitudine. Una persona che decide di abbandonare un consorzio umano può anche essere preso da un principio di misantropia, ma il bisogno di un rapporto con un altro membro della sua specie finisce con l’avere la meglio; la meglio su tutto, sul buon senso, sull’altruismo e sui propri propositi.
Così Jim (James Pratt), unico essere umano in stato di veglia su quella nave, decide di svegliare a sua volta la bellissima Aurora (Jennifer Lawrence) da lui notata in una cella di ibernazione e da lui trasformata in un oggetto delle proprie fantasticherie. Si tratta di una scelta comprensibile ma criminale, perché niente ed, ovviamente, nessuno può fare tornare i passeggeri in stato di ibernazione così da poter proseguire normalmente il viaggio.
Passangers è una storia d’amore, lambiccata, impreziosita e resa maestosa dal caleidoscopio del fantafuturo spaziale, ma pur sempre una storia d’amore. Pertanto la tematica della solitudine non è la topica del film, essa è percorsa ma non indagata a fondo; la si scandaglia in fretta, così come in fretta ci viene presentata quasi per non infastidire i passeggeri reali, ergo gli spettatori, non c’è in altri termini un’affresco brillante e coinvolgente come in Cast away. Arricchita da momenti drammatici e di azione frenetica, la trama del film risulta tuttavia gradevole grazie ad effetti speciali sapientemente dosati nonché magistralmente eseguiti. Su questa falsariga ci si permette di giocare con la gravità - sempiterno patto finzionale dei viaggi interstellari - dove le avarie della nave causano l’assenza di essa. Magie del ventunesimo secolo, il nostro.
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