Regia di Tate Taylor vedi scheda film
Emily Blunt è probabilmente l'unica ragione per vedere e, forse, apprezzare La ragazza del treno.
Nell'impegnativo ruolo di Rachel l'attrice riesce ad esprimere tutta l'angoscia e la confusione di una donna sconfitta dalla vita, spossata dai propri fantasmi personali e dall'alcolismo, in una prova attoriale di grandissima intensità.
Ma non c'è nient'altro.
Il film purtroppo è tutto qui.
Tratto dal beastseller scritto da Paula Hawkins, il film di Tate Taylor cerca di legarsi a un giallo di stampo piuttosto classico impreziosito da elementi di indagine psicologica e da venature erotiche e morbose ma presentandosi con un'immagine fin troppo patinata, anche nelle sequenze più violente e sessualmente esplicite, in un probabile rimando a precedenti pellicole di successo come Gone Girl di David Fincher ma senza però averne lo smalto, il rigore stilistico e tematico o il vigore registico, risolvendosi quindi in un pastrocchio drammatico/sentimentale che quasi mai riesce veramente a coinvolgere.
Pur comprendendo le difficoltà di adattare su schermo un romanzo costruito sui pensieri delle sue protagoniste, la scansione temporale della storia, fatta di continui balzi in avanti e indietro, risulta troppo artificiosa e complessa, senza peraltro essere sopportate da particolari esigenze narrative, e nemmeno riesce ad aggiungere dinamicità o suspense a un mistero che, al contrario, si dipana sotto i nostri occhi con fin troppa facilità.
Oltre alla Blunt molto importante è anche il resto del cast, soprattutto nella sua componente femminile, da una irriconoscibile ma efficace Rebecca Ferguson a una sensualissima Haley Bennett in versione JLaw, perfetta fisicamente per il ruolo ma forse non ancora pronta nel riuscire ad riproporre certi meccanismi psicologici di un personaggio che invece finisce per sembrare soltanto una (scusate per il termine un pò colorito) “troietta” complessata qualsiasi, e nemmeno particolarmente sveglia.
Di contorno e bidimensionali, invece, le figure maschile a sottolineare ulteriormente la natura originaria del libro, scritta da una donna soprattutto per le donne, e la natura femminista della storia costituita da un trio di donne, non prive certamente di difetti, ma che assurgono anche a paradigma stigmatizzato di moglie (Rachel), madre (Anna) e amante (Megan) secondo una mentalità maschilista e fallocrate al quale solo alla fine riescono a trovare la forza di reagire e di ribellarsi.
VOTO: 5
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