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Il cacciatore

Regia di Michael Cimino vedi scheda film

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La recensione su Il cacciatore

di Aquilant
10 stelle

DEDICATO AL GRANDE AMICO "THE DEER HUNTER".................Michael Vronsky, pugno di ferro in guanto di velluto. Il “Cacciatore” che non demorde mai, che sa quand’è il momento di buttare la sua paura alle ortiche. Più forte della morte è l’amicizia vera che non conosce confini. Nikonar 'Nick' Chevotarevich, il coraggio che si avvia ad una resa incondizionata al momento del distacco dagli orrori della guerra. Perché non c’è peggior nemico di quello che alberga al nostro interno. Indisturbato. Insinuante. Impulsivo. Come un colpo di pistola sparato a bruciapelo. Steven e basta, presenza mutilata nel fisico e nel morale che si avvia a giocare la sua partita in disparte. La forza cieca della paura che prende il sopravvento sulla capacità di autocontrollo individuale. Coadiuvata da un fin troppo consenziente destino. Sono questi i protagonisti del “CACCIATORE”, un film unico, epico, indimenticabile da custodire costantemente nella nostra memoria, per non dimenticare in questi momenti tormentati gli orrori della guerra. Da considerare come una sentita testimonianza dell’amicizia fraterna che fa sentire il suo influsso anche in un contesto propriamente dicotomico, laddove il peso del male contrapposto al bene e simbolizzato dal meccanismo perverso della guerra che corrode le coscienze intaccando irreversibilmente la psiche umana e lasciando dei segni indelebili nel corpo e nell’anima, non riesce in ogni caso a far pendere a suo favore il piatto della bilancia. Nella prima parte, che si differenzia notevolmente dal resto della narrazione, viene dato un ampio risalto alle scene di massa, con abbondanza di campi medi e lunghi e scarsità di primi piani. Il film acquisisce uno spiccato carattere di coralità che andrà man mano sempre più diluendosi per far posto alle vicissitudini di due personaggi fondamentali del film, interpretati da Robert De Niro e Christopher Walken, i cui destini si incroceranno fino a determinare il disgregante epilogo della vicenda. Esemplare lo stile di ripresa del convivio nuziale, in cui Cimino denota un’estrema padronanza del mezzo filmico nel documentare con estremo senso di realismo le masse in movimento sciolte dalle catene ed indotte ad impazzare a briglia sciolta al cospetto di una macchina da presa dai movimenti lenti e misurati, che con il suo sguardo panoramico indugia oltre misura a cogliere le più impercettibili sfumature di uno spaccato dì America che non trova di meglio che affogare i suoi problemi nel divertimento, quasi una quiete prima della tempesta che sarà mostrata in tutta la sua virulenza, preannunciata da uno stacco improvviso ed inaspettato che ci trasporta di punto in bianco in un vera e propria atmosfera di tregenda in cui prendono corpo e sostanza come per un malvagio incantesimo i peggiori incubi in assoluto che la mente umana abbia mai concepito. Il grande salto dal paradiso all’inferno è preannunciato da alcune note di pianoforte suonate in intimità che fanno prontamente posto ad un baluginare di fiamme che s’innalzano all’interno di un villaggio vietnamita. TRAMITE UN BRUSCO SALTO CRONOLOGICO TANTO SUBITANEO QUANTO LACERANTE CIMINO CI INTRODUCE ALLA SPICCIOLATA NEL BEL MEZZO DELL’APOCALISSE VIETNAMITA, A DOCUMENTARE GLI ESTREMI STATI DI ABERRAZIONE COLLETTIVA CUI LA LUCIDA FOLLIA DELLA GUERRA PUÒ CONDURRE L’ANIMO UMANO. Data la sua evidente complessità il film abbraccia una molteplicità di toni diversi, passando dal drammatico all’epico, dal lirico al grottesco, sempre all’insegna di un linguaggio gergale oltremodo crudo e diretto, unendo momenti di assoluta poesia (la scena della prima comparsa del cervo) a rigurgiti improvvisi d’inusitata violenza (le sequenze della roulette russa) probabilmente mai documentati prima d’allora sul grande schermo. Il film risente fortemente dei fermenti di rinnovamento formale e tematico tipici di un tipo di controcultura spinta dai forti venti del ’68 e dalla contestazione contro la guerra vietnamita, che a partire dai primi anni 70 fino agli inizi degli anni ‘80 ha smosso fin dalle fondamenta l’impianto tradizionale del cinema americano, dando origine alla cosiddetta corrente della New Hollywood. E’ da considerare altresì lo specchio di un’epoca, un documento di lucida disillusione, la cronaca di una repentina battuta d’arresto del mito americano che negli anni ’70 vacilla visibilmente pur restando sempre in piedi

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