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Night Fare

Regia di Julien Seri vedi scheda film

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La recensione su Night Fare

di scapigliato
8 stelle

La Francia s’era appassionata agli action su quattro ruote fin dai tempi di Taxi (1998). Night Fare del parigino Julien Seri va però in tutt’altra direzione. Non è un action movie che punta tutto sull’adrenalina degli inseguimenti in macchina, ma è un thriller dalla spessa nervatura horror, con un’estetica noiristica, fatta di luci e ombre, che si macchia di splatter e gore come tanto ottimo cinema nero francese ci ha abituato dagli anni ’90 ad oggi. Anche i due protagonisti, un giovane inglese con un forte senso di colpa e il suo amico francese, bulletto arrogante che si è preso pure la sua ex ragazza, sono tratteggiati seguendo più le linee di personaggi fumettistici, ben delineati nella loro figurazione simbolica, che quelle di attori di un dramma esistenziale quale poi, in definitiva, è proprio Night Fare.

Tornato a Parigi per rivedere la ragazza abbandonata all’improvviso, il giovane Chris si fa convincere dall’amico Luc a passare la notte con lui, facendo baldoria, ubriacandosi, sniffando coca, tradendo pure la fidanzatina e senza pagare nemmeno il tassista che li ha portati fin quasi sotto casa. La svolta narrativa arriva improvvisa e ben escogitata. In Night Fare non siamo in uno scenario favolistico, dove la natura la fa da padrona e dove la minaccia mostruosa è figlia dell’elemento primordiale, bensì in uno scenario metropolitano e l’orrore, la minaccia mostruosa, è figlia dell’elemento moderno, umanizzato, artificiale. È il tassista a bordo del suo taxi nero a inseguire i due protagonisti lungo le strade deserte di una Parigi irriconoscibile, fatta solo di lingue d’asfalto, luci indifferenti e parchetti vuoti e silenziosi.

L’accanimento del tassista, un omone gigantesco, barbuto, tatuato, dallo sguardo schermato dal cappello, con una sorprendente forza bruta, erede dell’orco delle favole, è a ben vedere il mancato prezzo della corsa notturna. Accanimento che i due malcapitati scopriranno abbastanza presto essere inquietante e pure fatale. Ma c’è qualcosa di più dietro tutto questo. C’è l’ombra della morte? Ci troviamo davanti a un’inspiegabile assassino metafisico? Il mistero che aleggia dietro la figura del tassista e dietro le sorti dei due ragazzi è la forza narrativa del film che unito all’ottima regia, sia nelle scene action che in quelle più nere e cupe, organizzate con felici scelte estetiche e fotografiche, si va a inserire in un manipolo di film storici a tema motoristico che da Duel (1971) a  Black Cadillac (2003), passando ovviamente per La macchina nera – The Car (1977), Christine (1983), Brivido (1986) e Highwayman (2003), ha stimolato generazioni di spettatori sul mito della macchina assassina.

Peccato che verso il finale, dopo un’ottima prova di sceneggiatura e regia, la storia crolli sotto il pesante fardello della lunga e incredibile spiegazione che dà al film tutto un altro spessore. Il risultato è che le informi ombre della notte che avevano reso palpitante l’orrore e la tensione della rocambolesca fuga notturna di due ragazzi, diventano aride equazioni matematiche. Le sagome terrificanti che infestano la nostra stanza di notte, di giorno diventano libri, pupazzi, abiti buttati qua e là. Il passo falso del regista, di cui si applaudono sicuro i tre quarti del film, delude lo spettatore purista per ammutinamento, per tradimento del genere e soprattutto per rassegnazione artistica. Julien Seri fa lo sbaglio che Alexandre Aja al suo esordio nel 2003 con Haute Tension era riuscito ad aggirare in extremis. Dare un volto, una storia, un’identità e una spiegazione credibile all’orrore, alla paura, all’avventura in genere, è da sempre sinonimo di morte narrativa ed artistica. Aboliamo la plausibilità e lo spiegazionismo tanto caro al pubblico televisivo.

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