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Sciuscià

Regia di Vittorio De Sica vedi scheda film

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La recensione su Sciuscià

di EightAndHalf
9 stelle

Che Sciuscià riesca a coinvolgere in maniera così profonda ed emotiva, lo si deve solo (!) alla magia del Cinema, a quel miscuglio omogeneo di musiche e immagini (a tal proposito, fondamentale l'apporto sonoro di Alessandro Cicognini) ottenuto con una levità incomparabile a null'altro. E' inutile disperdersi in aride constatazioni sul grado di realtà del film di De Sica o ancor di più sul livello di realismo del Neorealismo italiano, perché non si tratta mai di iperrealtà disinteressata, ma di un atto rivoluzionario che possa far perno sulla dimensione più umana e patetica dello spettatore. De Sica infatti sottolinea proprio quella, riuscendo a un livello prettamente artistico ad appiccicare gli occhi dello spettatore allo schermo raccontando più circostanze che vere e proprie storie, e offrendo, a un livello più storicamente contestualizzato, un appello alla compassione umana nei riguardi di un'Italia azzoppata dalla miseria. Il suo pietismo non è fine a se stesso, né ricattatorio, ma nasce da un grandissimo compromesso (che svela, più di ogni altro artifizio, la vera realtà) fra atti dei protagonisti e avvenimenti del caso, congiunture decisionali e razionalità incenerite, con l'effetto della creazione di drammi umani straordinariamente attuali e mostruosamente crudeli, specie se si tratta di giovanissimi costretti a una crescita prematura.

 

 

Una spanna sopra a Ladri di biciclette, ma una spanna sotto a Umberto D. (a voler proprio confrontare tre capolavori), Sciuscià ha la cadenza di una tragedia e il respiro classico del Cinema di un tempo, un respiro talmente maestoso da scuotere e stimolare la riflessione sul passato e sul presente. Il lento inaridimento dell'amicizia fra Pasquale (il mitico Franco Interlenghi) e Giuseppe, coinvolti ingiustamente in una rapina e spesso strumenti per atti illeciti ad opera del fratello del secondo, coincide con il momento in cui i due ragazzi finiscono in riformatorio, costretti ad affrontare una realtà ancora più penosa di quella di ogni giorno e per lo più allontanati reciprocamente. Se l'amicizia apriva squarci di speranza (realmente commovente, nelle prime sequenze, il trotto glorioso sul cavallo davanti agli amici sciuscià), la distanza e la clausura comportano l'incenerimento delle poche consolazioni umane che entrambi si concedevano, e apre a una realtà priva di appigli, tendenzialmente castrante un'energia che finisce repressa e che è destinata a scoppiare. Gli occhi degli adulti, dal canto loro, sono ancora più distanti, ciechi, convinti di procedere a un'accurata disciplina delle nuove generazioni senza però curarsi dei reali motivi e delle reali conseguenze d ciò che le stesse nuove generazioni commettono. De Sica non indaga emozioni classiche e senza macchia: gli esseri umani di Sciuscià si imbrogliano vicendevolmente in continuazione, e così come brucia il proiettore a fine film nel salone del carcere, così sembra distruggersi quel sogno neorealista di "social catena" potenzialmente adatto a ricostruire un mondo a pezzi.

 

 

L'apparato visivo è fenomenale: De Sica utilizza una telecamera adesa agli eventi ma pur sempre autonoma, a suo modo, e interessata a seguire la vita dei due protagonisti, sia nei momenti più interessanti sia in quelli meno. Le carrellate poi mettono letteralmente i brividi, dal caos furibondo dell'evasione (con quel movimento discendente dall'alto sulla turba di bambini impazziti) fino alle ultimissime immagini, il leggiadro e straziante movimento verso il corpicino morto sulle rocce, e l'allontanarsi del cavallo al suono delle urla disperate di Pasquale, un'innocenza che se ne va, segnando negativamente la vita di un futuro uomo come di un intero Paese.

 

 

Sciuscià, nel suo quieto e vivace pessimismo, è la risposta più accurata e veemente a Zero en conduit di Jean Vigo, la constatazione della fine delle vita e dell'innocenza, piuttosto che l'esplosione delle stesse, uno sguardo che concede a questo titolo la meritatissima etichetta di "capolavoro".

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