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L'ultima tempesta

Regia di Craig Gillespie vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su L'ultima tempesta

di alan smithee
4 stelle

Un adrenalinico quanto eroico salvataggio in mare, ben congegnato e visivamente validamente rappresentato, viene svilito e affossato dalla parallela fuorviante edulcorata rappresentazione di una società americana tutta sospiri e buoni sentimenti: banalità e semplificazioni puerili inaccettabili che compromettono un risultato altrimenti decoroso.

Cronaca di un affondamento inevitabile, e dei tentativi strenui e coraggiosi di mettere in salvo una trentina di marinai dell’equipaggio di una grande petroliera, spezzatasi letteralmente in due a causa degli effetti di una terribile tempesta che, nel lontano 1952, colpi e devastò le coste del New England.

Da un eroico fatto vero, il regista medio (ma Lars e una ragazza tutta sua era qualitativamente ben altra cosa rispetto alla manciata di altre pellicole del cineasta) Craig Gillespie trae spunto per fornirci una dettagliata, drammatica e tecnicamente notevole cronaca di un’impresa apparentemente possibile, ma che al contrario è divenuta una delle più importanti e riuscite operazioni di salvataggio realmente esistite.

Le fasi dell’inabissamento inesorabile del gigante dei mari e il percorso opposto di avvicinamento della piccola motovedetta che sfida onde da primato pur di raggiungere la sua meta, sono infatti piuttosto concitate e di un realismo che convince.

Dello stesso avviso non si può essere quando il film affronta l’aspetto sociale e umano che descrive la società immacolata e tutta pensieri timorati di un’America bigotta che appare irritante, oltre che inverosimile. Come ridicola ed inverosimile appare l’attrice-bambolina Holliday Grainger che, bloccata in auto sotto una tempesta di neve, esce a chiedere soccorso in vestitino leggero e maniche corte.

Fiumi di melassa insopportabile invadono lo schermo, avvilendo l’impegno di attori oltremodo ed altrove spesso convincenti del calibro di Chris Pine, Eric Bana, Ben Foster e soprattutto Casey Affleck, costretti qui a destreggiarsi e a soccombere non tanto a causa della furia della natura, ma piuttosto strangolati dalla fastidiosa incapacità di chi scrive i testi di rappresentare una società americana di sessant’anni orsono senza inutili fastidiose edulcorazioni e luoghi comuni banali e dolciastri sino a risultare altamente indigesti.

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