Regia di Guy Ritchie vedi scheda film
Il King Arthur di Guy Ritchie è una storia che trasuda modernità (dai capelli alla moda di Charlie Hunnam al cameo di David Beckham) pur essendo in costume. È RocknRolla con archi e cavalli e persino il protagonista sembra più simile ad un teppista da strada che ad un re. Un blockbuster che con una arroganza invidiabile tradisce costantemente la mitologia da cui prende spunto e così anche i canoni con cui questa è stata proposta per anni sul grande schermo. Lo si capisce dai primi istanti, quando il passaggio dalla età giovanile a quella matura di Artù non viene omesso con il classico stratagemma dei “20 anni dopo”, ma mostrato attraverso un montaggio musicale di qualche minuto che riassume decenni di storia.
King Arthur gioca mescolando presente, passato e futuro attraverso un montaggio che li fa coesistere nello stesso istante. È cinema commerciale, quello più chiassoso e roboante, ma è anche il cinema di un autore dallo stile unico, con una padronanza di mezzi che gli consente di mettere in scena storie convenzionali in una maniera che nessun altro è in grado di emulare.
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