Regia di David O. Russell vedi scheda film
Che cos'ha Joy per trasformarsi da Cinderella tutta casa e (sciagurata) famiglia in imprenditrice di successo?
Russell ci presenta col suo stile piacevolmente caotico il biopic di una ragazza di grandi capacità intellettuali della provincia americana che rinuncia a tutta una serie di occasioni che avrebbero potuto farle elevare il livello sociale (a partire dal college) per stare vicina ai due genitori (lui, un adolescente mai cresciuto, alla continua ed egocentrica ricerca dell'ennesimo amore della sua vita; lei, depressa e TV-addicted).
Questa patologica inversione dei ruoli impedisce a Joy di spiccare il volo anche quando arriva al matrimonio, peraltro rapidamente fallito, ma serve a farle raggiungere il livello di disperazione adeguato che a un certo punto si trasforma in voglia di stupire il mondo con invenzioni di piccolo cabotaggio (ehilà, parliamo del "mocio" mica di informatica o ingegneria!), ma capaci di "rivoluzionare" le giornate della working-class (se non della middle-class)!
A me il film non è dispiaciuto o per lo meno lo metto alla pari di American Husthle, a cui avevo dato una buona sufficienza.
Qui i lati problematici si trovano nel mancato sviluppo dei personaggi, escluso - ovviamente oltre a Joy stessa - il grande Bob De Niro che dipinge con pochi tratti questo padre-eterno narcisistico bambino: lo stesso Bradley Cooper fa un'apparizione piuttosto scialba.
Inoltre in certi punti la sceneggiatura si rivela debole, con dialoghi approssimativi (vedasi quello finale fra Joy e l'uomo col cappello).
Ma nell'insieme l'opera è gradevole e ottimistica, con il primo terzo del film in cui la descrizione di questa (sciagurata) famiglia - sottolineata dalle vicende di una soap opera di quelle che durano decenni e costituiscono una sorta di legame transgenerazionale - è nel contempo drammatica e ironica.
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