Regia di Ryan Coogler vedi scheda film
Rocky Balboa (Sylvester Stallone), appesi al muro i guantoni, decide di tornare sul ring per allenare il giovane Adonis Creed (Michael B. Jordan), figlio del suo grande amico (e rivale) Apollo. Il ragazzo, con alle spalle un’infanzia felice tra il carcere minorile e orfanotrofi, vuole trovare nel pugilato un’occasione di riscatto, dimostrando al mondo il suo valore e scrollandosi l’ombra ingombrante del celebre papà.
Nel pentolone di noiosi sequel e reboot hollywoodiani, strano ma vero, è lo spin-off della serie di Rocky a offrire un po’ di verve alla stagione blockbuster.
Nulla che non sia già stato visto, il copione è sempre quello: la dura vita del pugile, tra cadute e risalite, amori complicati, allenamenti estremi e immancabile combattimento epocale. Eppure, Creed, possiede un suo fascino: catturano la freschezza dei personaggi e molte soluzioni visive del giovane regista Ryan Coogler. Un afroamericano, come Apollo, Adonis e tutti quei pugili (reali) che hanno fatto la storia di questo sport, da Alì a Liston, da Tyson a Foreman. Un film blackploitation in una saga da sempre "white american" (rocky ha sempre affrontato avversari di colore, tranne il sovietico Ivan Drago), fiero della negritudine dei suoi eroi, furbo a coccolarsi i suoi fan: non stupisce, dunque, che sia proprio quel Rocky 3, in cui papà Apollo allenava Rocky per risvegliarne “gli occhi della tigre”, il capitolo con più rimandi (così come sia stata volontariamente dimenticata l’ultima pacchiana incarnazione del 2007).
All’entusiasmo post-adolescenziale di Adonis (un convincente Michael B. Jordan) fa da contrappunto il vecchio e consumato Stallone: po’ di magone sale anche a noi spettatori, nel frattempo invecchiati con lui.
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