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La corte

Regia di Christian Vincent vedi scheda film

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La recensione su La corte

di Springwind
6 stelle

Questo film è come la vita: pieno di situazioni non concluse, di indizi che non portano a niente, verità non ritrovate, misteri non chiariti, persone di cui non sapremo mai nulla, che appaiono un attimo e poi spariscono, parole non dette, sguardi. E al centro, un uomo banale, grigio, come potremmo essere noi. Niente altro.

Un film cucito addosso a Fabrice Luchini, che lo interpreta magistralmente, giocando sui mezzi toni, il non detto, gli sguardi e i silenzi piuttosto che gigioneggiare da prim'attore, come accadeva, per esempio, in "Moliere in bicicletta". Meritatissima, quindi l la sua Coppa Volpi a Venezia. Più difficile da spiegare il premio veneziano alla sceneggiatura, che sembra contravvenire la norma cardine della scrittura narrativa, giocando a depistare continuamente lo spettatore, aprendo continuamente nell'intreccio piste che non verranno mai seguite, infinite possibilità di svolte che non ci saranno mai. Storia di un rigido, algido, e anaffettivo presidente di corte d'assise che cambia impercettibilmente il proprio atteggiamento trovandosi tra i giurati popolari di un processo per infanticidio la solare anestesista che l'ha avuto in cura anni addietro in seguito a un grave incidente, il film si snoda nell'arco dei tre giorni di durata del processo. È in questo breve periodo che vediamo il cambiamento minimale dell'uomo, di cui avremo la certezza solo sulla scena finale, e anche qui solo suggerito dal suo sguardo e da un sorriso appena abbozzato. Nel frattempo, in un'ora e mezzo di film, lo spettatore ha creduto, in base ai falsi indizi seminati, di trovarsi di fronte a un dramma processuale, con relativa condanna finale dell'omicida; ha ipotizzato macchie oscure nel passato dell'integerrimo giudice o comportamenti scorretti nel suo presente; ha preconizzato (sbagliando, ovviamente) scoppi di conflitti interrazziali o di genere tra i giurati ecc. ecc. Invece, non succede proprio niente: come nella vita, di tante situazioni non sapremo mai la conclusione; di tante persone, che fine hanno fatto. Tutto resta sospeso, e dopo un poco viene dimenticato, non ci si pensa più. Forse, però, dal cinema vorremmo qualcosa di più della riproduzione pedissequa della nostra banalità quotidiana: o, almeno, se ci si offre una tranche de vie, che non sia sfilacciata ai bordi. Come consigliava Cerami agli aspiranti sceneggiatori, mai buttare lì un indizio e poi dimenticare di recuperarlo. "Ogni scena si carica dei segni seminati nelle scene precedenti e a sua volta deposita nel racconto altri segni che serviranno in seguito": peccato che in questo film lo sceneggiatore si diverta a seminare segni che poi non riutilizza mai.

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